di Sergio Giuntini
Rispetto alla classicità greca, quando lo sport era poesia e la poesia celebrava i campioni d’Olimpia, il nostro presente è assai meno prodigo di poeti che cantano lo sport e i suoi eroi. Tra i pochi, il nostro socio Ennio Buongiovanni che con grande passione e amore ci ha regalato innumerevoli frammenti magici di questo tipo, fissandoli nelle sue liriche sportive (e sull’atletica leggera in particolare) sempre leggere e immaginifiche. Al riguardo, ancora in tema di regali natalizi utili o possibilmente intelligenti, il più delle volte solo vanamente vagheggiati, ci viene in soccorso un altro poeta che ha voluto sfidare i colleghi antichi lasciandoci una piccola-grande antologia di versi consacrati allo sport. Si tratta di Franco Arminio: straordinario personaggio di quell’Italia dimenticata, profonda e sommersa e tanto lontana dai luccichii effimeri delle grandi metropoli. Nato – e mai, con coraggiosa coerenza, da lì allontanatosi – a Bisaccia, nell’Irpinia orientale, quella del terremoto, il quale da tempi non sospetti si batte in difesa dei micro-paesi sperduti e abbandonati. Un visionario, un illuminato che nei piccoli borghi credeva molto prima che diventassero così, oggi, di moda. Tant’è, a Bisaccia ha inventato la “Casa della paesologia” e ad Aliano il festival, tutt’altro che festivaliero, “La luna e i calanchi”. A lui, dunque, dobbiamo “Atleti” (HarperCollins, 2022). Una raccolta di cui offriamo qualche delizioso assaggio:
<<Le Olimpiadi/ per me erano un lavoro./ Vedevo tutto, dai tuffi/ all’equitazione, amavo i pugili cubani/ le ginnaste rumene/ le nuotatrici della Germania Est./ Vedere certe gare per me era/ anche un modo di viaggiare:/ la maratona dei keniani/ mi portava sugli altopiani,/ il salto con l’asta/ era meglio che andare al circo./ Amavo i campioni e pensavo/ alle loro terre, sentivo la forza/ dei muscoli e dei luoghi>>.
<<Prima si scavalca con il ventre/ poi qualcuno provò usando il dorso./ All’indietro, a semicerchio/ la rincorsa, lo stacco, / il movimento in volo,/ come se il corpo/ fosse una piuma,/ un anello di fumo./ Perduta sui talloni/ l’impresa clamorosa./ Vibra lentamente l’asticella/ prima di cadere>>.
<<Alzata controluce/ all’alba si dilegua la medaglia/ dell’atleta, il sudore/ notturno, la corsa/ frenetica e composta dentro/ la corsa, il tuffo/ disperato verso il filo>>.
<<Il miele dei muscoli, si consuma,/ il sudore apre ogni poro./ Siate vicini agli uomini/ della maratona,/ scandite il passo, il nome/ pregate per voi/ e per loro>>.
<<Il velocista immagina la pistola/ dello starter puntata/ verso il cuore./ Senza essere colpito/ inizia la sua corsa/ come un cinghiale ferito>>.
<<Non credevo a niente/ credevo solo a Gigi Riva./ Non so bene perché mi piaceva,/ non era uno che giocando/ si divertiva. Forse mi affascinava/ quella sua faccia da ossimoro eclatante,/ la tristezza rara di un attaccante>>.
<<Esangue e svigorita/ è ormai ogni partita./ Azioni prevedibili e scontate,/ nessuno ha più il coraggio/ dei tuffi e delle sforbiciate>>.
<<Nelle tappe di pianura la gara/ entra nel vivo solo sul finire./ Attraversa le città, i paesi,/ antiche piazze, strette vie, larghe/ sbiadite strade di periferia,/ a volte guardo gli alberi, le rose,/ i palazzi, il fumo, insegne e vetrine,/ le donne, i laghi, i fiumi in agonia,/ il grano e gli orti, i morsi alle colline./ Mi piace restare indietro, in attesa,/ fare tranquillamente colazione,/ restare in mezzo al gruppo per parlare,/ sentire gli umori, le impressioni./ Davanti forse qualcosa si muove,/ ma la strada è ancora molto lunga,/ i gregari controllano le fughe>>.
<<Da bambino m’impegnavo/ in molte sfide, fissare/ il sole, resistere/ al solletico, privarmi del respiro./ Non vincevo e non morivo/ perché subito fallivo>>.
Questo e molto altro ancora, che non troverete mai sulle seriali pagine “rosa”, vi riserva la silloge di Franco Arminio con i suoi, i nostri romantici “Atleti”. Non perdetevela.