di Marco Giani

Nel 1966 uscì a Napoli, stampato da L’Arte Tipografica, un interessante volume intitolato L’atletica femminile in Italia e nel mondo, che andrebbe ora studiato in prospettiva storica, giacché riesce a ridarci il polso della situazione sul pessimo stato di salute della nostra atletica leggera femminile: proprio il confronto con l’estero serve al curatore Salvatore Massara e ai suoi collaboratori per lanciare un preoccupato grido di allarme.

Da uomo del Mezzogiorno Massara è particolarmente preoccupato per il mancato sviluppo dell’atletica leggera femminile in questa parte del paese, tanto che arriva a parlare di «deserto atletico del Sud» quando gli tocca presentare al lettore il classico isolato fiore nato casualmente in mezzo alla sabbia, ossia «l’esile, minuta e solitaria Gilda Jannaccone»[1]. La mezzofondista, nata nel 1940 ed attiva dal 1957 al 1965, partecipò alle Olimpiadi di Roma 1960, venendo eliminata già in batteria: eppure, prima di questa delusione internazionale, aveva acceso ben più di una speranza nell’ambiente atletico italiano, come evidente dall’intervista datata 1958[2] riportata nel libro di Massara: l’8 giugno di quell’anno, del resto, Gilda aveva stabilito il nuovo record nazionale, correndo in 2’ 16’’ 3/10. La disciplina in cui si cimentava, del resto, non conosceva campionesse di valore dai tempi della lombarda Leandrina Bulzacchi, dominatrice incontrastata durante gli anni Trenta …

Significativo anche l’intervistatore, cioè Antonio Ghirelli (1922-2012), anch’egli napoletano di nascita: l’orgoglio della comune appartenenza e la preoccupazione per un presente disastroso trasudano dalle domande ma soprattutto dalle sezioni diegetiche del pezzo, com’è possibile notare sin dall’inizio, in cui Ghirelli si dichiara compiaciuto dalla stessa possibilità di incontrare la diciottenne sua conterranea «tanto è insolito dalle nostre parti che una ragazza calzi scarpette leggere e danzi sulla pista, al ritmo scandito dal cronometro». Subito Ghirelli spiega al lettore estraneo alla società napoletana e alle sue nette spaccature sociali la differenza fra la giovane Gilda e Marcella Jeandeau (1928-2018), che pure pochi anni prima era riuscita ad arrivare in Nazionale (deludendo però alle Olimpiadi di Londra 1948): «era certo una campionessa, ma apparteneva ad un’altra classe sociale, e anche la sua bellezza e la passione per lo sport avevano altre radici, echeggiavano le esperienze cosmopolite di quei suoi antenati ammiragli che a Napoli erano arrivati con Gioacchino, al principio del secolo scorso. Qui, invece, con Gilda siamo ad una Napoli più umile e in certo modo più risoluta: la ragazza esce da una famiglia piccolo-borghese, allo sport non è venuta dall’Università ma dalla scuola di avviamento, non per libera scelta ma in conseguenza di un intervento estraneo, di una certa politica sportiva, lo “sport nella scuola”. E così i suoi problemi sono diversi». Gilda, al contrario di Marcella (diremmo noi erede di quella tradizione cosmopolita e alto-locata precedente lo stesso Ventennio fascista), «venne allo sport per intervento di un’insegnante di educazione fisica che non era la sua propria. Fu difatti la signora Iodice a segnalare al marito la ragazzetta quindicenne che nella sua classe era stata scartata dalle corse per via del fisico troppo esile. Ancora oggi, in pratica, la Iannaccone è alta metri 1,67 ma pesa soltanto 48 Kg. e a vederla così, seduta al caffè, con le spalle magri affioranti dalla camicetta scollata e la braccia sottili, non appare certo il ritratto della potenza atletica».

Ghirelli si mette a questo punto dell’intervista a ricostruire per il proprio lettore «la giornata di una ragazza napoletana che pratica lo sport, e il quadro che ne esce è pulito e semplice come un romanzo di Pratolini»: il giornalista, da parte sua, è bravo nel presentare uno dopo l’altro i vari ostacoli superati da Gilda, ossia le iniziali resistenze familiari (da sempre “il” problema per le ragazze sportive del Mezzogiorno d’Italia), la difficoltà di garantire all’atleta sia una dieta adatta alle sue esigenze agonistiche sia uno stipendio (da notare lo zampino del buon Ridolfi, vecchio dirigente FIDAL di osservanza littoria per nulla epurato dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale), l’inadeguatezza degli impianti e la mancanza di compagne capaci di far migliorare le prestazioni di Gilda tramite la concorrenza e l’emulazione. Scrive Ghirelli: «Nata l’11 marzo del 1940, ultima figlia di un’onesta famiglia di lavoratori, questa nostra “metellina” studiò fino al terzo anno di avviamento, quando l’apparizione dei coniugi Iodice la convertì alla vera fede nell’atletismo. I genitori, che avevano già visto partire in varie direzioni gli altri figli, tutti sposati ed accasati, opposero una debole resistenza al desiderio di Gilda; ma la resistenza si mutò in dolce compiacimento allorché vennero i primi risultati, le prime “soddisfazioni”. Facevano – e fanno – un mucchio di sacrifici per assicurare alla bambina il regime alimentare che sarebbe indispensabile per praticare l’atletica: ciò nondimeno, da soli non sarebbero riusciti a tanto neppure con l’aiuto di Iodice, se il povero marchese Ridolfi non fosse intervenuto personalmente presso i dirigenti della Remington Italiana, ottenendo per Gilda un buon posticino. Diciamole pure, le cifre: non fanno vergogna a nessuno (per lo meno, non a Gilda), sarebbero 36.000 al mese, se non venissero decurtate 12.000 per le tre ore al giorni che la ragazza è autorizzata a disertare l’ufficio … Sono molte, sono poche? Lo lasciamo giudicare a chi è tentato, talora, di instaurare inopportuni paralleli tra Nord e Sud, in campo sportivo e no, per sentenziare di chissà quale inferiorità organica, di una razziale diversità della gente meridionale. La razza non c’entra, c’entrano le bistecche. E se vogliamo, c’entra pure la diversa attrezzatura sportiva: quando Gilda, scappando dall’ufficio alle 5 del pomeriggio, si arrampica fino al Vomero per il suo quotidiano allenamento, trova una sola pista, dura come il cemento, e soltanto acqua fredda per la doccia, d’estate e d’inverno, e spogliatoi rudimentali, e nessuna compagna per farsi “tirare” su un tempo decente …». Conclude Ghirelli: «Non importa. Cambierà anche questo nel Sud e rifioriranno, insieme con le ciminiere delle industrie moderne, i campioni della pista, le libellule dei record, gli olimpionici in serie. Per ora, affidiamo la nostra azzurra bandiera, piccola e splendida come una vela, al pugno di pochi ragazzi in gamba, alla manina affusolata di Gilda, per esempio, che insegue unicamente il suo sogno sportivo: – Sì – sta dicendo ora con il sorriso e la dolce cadenza delle nostre parti – a casa mi incoraggiano. Un poco è per i risultati, ma molto è perché capiscono che mi fa piacere correre. Se mi tolgono lo sport, mi tolgono la vita, almeno così mi pare, adesso che sono giovane … -. E ride, gettando la testa indietro, con gli occhi chiari come il mare degli scogli e delle grotte».

Fotografia di copertina: Gilda Jannaccone si allena allo Stadio San Paolo di Napoli (1960).


[1] Salvatore Massara (a cura di), L’atletica femminile in Italia e nel mondo, L’Arte Tipografica, Napoli, 1966, p. 33.

[2] Tuttosport, 11 luglio 1958, cit. in Salvatore Massara (a cura di), L’atletica femminile in Italia e nel mondo, cit., pp. 68-69. La trascrizione integrale del pezzo è disponibile nella sezione finale del Corpus su Donne, Calcio e Sport in Italia (1933 ca.)

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