dal Seminario “SPORT E SOCIETA’” – Milano, USR per la Lombardia in collaborazione con l’associazione Alexandria (a.s. 2013-2014)
di Sergio Giuntini
…In Germania Est Manfred Ewald, membro del Comitato centrale della SED e uomo forte dello sport tedesco orientale da presidente della DTSB (“Deutsche Turn – und Sport Bund”), già nel 1963 avrebbe ordinato un uso massiccio di anabolizzanti per gli sportivi di vertice. Complessivamente si è potuto appurare che almeno 10.000 furono gli atleti interessati da cure ormonali. Nel 1974 un comitato ristretto stabilì le direttive per l’attuazione di un doping sistematico e, studiate a Lipsia, le sostanze dopanti venivano testate e prodotte dalla “Jenapharm” di Jena. Il laboratorio antidoping – riconosciuto dal CIO – di Kreisha, provvedeva invece, prima dei grandi eventi, a controllare i soggetti che vi si erano sottoposti, garantendo così l’efficacia del trattamento senza smascherarne i fruitori. A questo sistema articolato cooperavano una dozzina di istituzioni scientifiche e circa 1500 ricercatori. Essi partecipavano a lavori coordinati e, nel 1981, a Lipsia, si tenne un seminario nel quale si dibattè approfonditamente sul come ritrovare nuovi additivi non rilevabili agli esami di laboratorio. Non per altro, il poeta dissidente Wolf Biermann arrivò a definire il doping praticato nella Germania orientale “uno dei più grandi esperimenti mai eseguiti su corpi umani”. Il doping programmato, il cui “Doktor Mabuse” era lo stretto collaboratore di Ewald Manfred Hoppner, ricalcava nelle sue scansioni pluriennali le pianificazioni dell’economia socialista. E uno degli ultimi predisposti, portava il nome in codice di “Piano di stato 14.25”.
In questo senso l’intero apparato organizzativo del doping doveva disporre della completa copertura della Stasi, e la conferma ci è data da un rapporto di 700 pagine, redatto nel 2006 dall’Istituto “Arendt” di Dresda, in cui si conclude sinteticamente che la “Stasi ebbe un ruolo fondamentale nel medagliere della DDR”. In un regime dalle maglie molto rigide, che si autososteneva con la delazione e le schedature di massa, dove tutti spiavano tutti, la potente polizia segreta, la Stasi di Erik Mielke (180.000 agenti e 120.00 collaboratori informali), non poteva non estendere il proprio controllo politico capillare attraverso lo sport. Gli sportivi d’eccellenza godevano di una particolare libertà di movimento all’estero e di benefici sociali che dovevano ripagare ponendosi al servizio degli organi di sicurezza. Erano una casta di privilegiati, e così venivano percepiti dalla popolazione comune. Anche alla luce di ciò si spiegano le tentate violenze e vendette di cui, a pochi giorni dalla caduta del Muro, furono vittime diversi atleti dai trascorsi illustri.
A Karl Marx Stadt fu distrutta l’auto della campionessa di nuoto Heike Friedrich. A Lipsia giunsero intimidazioni alla discobola Martina Hellman, minacciando di ucciderle la figlia. A Erfurt subì danni alle sue proprietà il pattinatore Uwe Ampler, e la nuotatrice Kristine Otto si asserragliò a lungo in casa temendo il peggio. Percepiti e indubbiamente vicini al potere, tra gli informatori della Stasi figurarono negli anni ’80 i migliori calciatori della principale squadra del Paese: la “Dinamo” Berlino, il sodalizio del Ministero dell’Interno di cui era fanatico supporter Mielke. Di alcuni di loro si conoscono i nomi: Thomas Doll, che giocherà anche in Italia nella “Lazio”, Andreas Thom, Frank Rodhe, Wolfgang Klein. La “Dinamo” Dresda forniva informazioni tramite Frank Lieberman, Matthias Doeschner e Andreas Trautmann, calciatore dell’anno nel 1989. Torsten Guetschow, anch’egli della “Dinamo” Dresda e tre volte capocannoniere dell’”Oberliga”, iniziò a collaborare con la Stasi dal 1981 e, in nove stagioni, passò alla polizia politica una sessantina di dossier su compagni di club, allenatori, dirigenti.
Lutz Dombrowski, campione olimpico di salto in lungo a Mosca, nel 1979 sottoscrisse un documento in cui s’impegnava a riferire i “contatti con gli stranieri durante le trasferte all’estero”. Pure Heike Drechsler, lunghista che vinse i campionati europei del 1986, vide messa in pericolo la sua carriera sportiva qualora non si fosse assoggettata alle richieste della struttura diretta da Erik Mielke. E sul conto di Katharina Witt, “noffizielle maitarbeiterin” (informatrice non ufficiale) che s’aggiudicò le medaglie d’oro nel pattinaggio artistico alle Olimpiadi di Sarayevo (1984) e di Calgary (1988), presso gli archivi della Stasi erano custoditi otto nastri di registrazione e 1354 pagine di trascrizione. Stasi per la quale, con compensi mensili di 1000 marchi, lavorò anche dall’agosto 1971 l’altra pattinatrice Gaby Seyfert, campionessa del mondo nel 1969 e ’70. Quella svolta dalla Seyfert si configurava più compiutamente come un’autentica attività di spionaggio. Un’attività che in quell’epoca, non solo all’interno dei propri confini nazionali ma soprattutto durante le gare oltrecortina, interessò numerosi atleti dell’Europa orientale.
Il caso più famoso è quello del polacco – nato a Varsavia il 25 ottobre 1932 – Jerzy Pawlowski (vincitore dei Giochi olimpici nella sciabola a Città del Messico, secondo nell’individuale e a squadre a Melbourne, argento e bronzo a squadre a Roma e Tokio), che fu arrestato il 24 aprile 1975 e, l’8 aprile 1976, condannato da un tribunale militare a venticinque anni di carcere per spionaggio a favore della NATO. Maggiore dell’esercito, gli venne risparmiata la pena capitale perché rivelò i suoi crimini e l’identità dei complici. Le sue rivelazioni portarono all’arresto e condanna di altri ufficiali, alla morte misteriosa del comandante in capo della Marina e, nell’ambito dello sport, all’interrogatorio di oltre cento schermidori. L’11 giugno 1985 Pawlowski fu scambiato con tre spie di paesi socialisti catturate in Belgio, ma chiese e ottenne di poter rientrare in Polonia.
Da scaltro doppiogiochista aveva lavorato sia per l’Est che per l’Ovest. Fin dal 1955 era stato assoldato dai servizi segreti polacchi per spiare i suoi compagni di squadra, segnalando quelli – tra cui anche l’amico fiorettista Witek Woida, sul quale stilò tre circostanziati rapporti – che progettavano di fuggire in Occidente o che sostenevano lo stato di Israele; poi, improvvisamente, nel marzo 1962 la collaborazione di Pawlowski venne sospesa. Evidentemente non si era più tanto sicuri di lui, che nel frattempo – con sicurezza dal 1964 – aveva allacciato rapporti con la CIA. Nell’autobiografia del 1994 – Il mio duello più lungo – Pawlowski sostenne che il processo a suo carico era stato una messinscena per dimostrare pubblicamente la trasparenza e la severità del regime che giungeva a punire anche i suoi simboli sportivi. In realtà la sua cattura dipese da un tradimento all’interno della CIA. Fu venduto – con altre spie – all’URSS per 90.000 dollari. Una figura ambigua, da romanzi alla John Le Carré, che impersona mirabilmente il clima e le trame oscure della Guerra Fredda. (continua)
In copertina: la nuotatrice Heike Friedrich – Figurine Panini (da Wikipedia.org)