di Sergio Giuntini
Alto 1,86 per 72 kg., tanto che l’ex atleta e giornalista francese Géo André ebbe a definirlo <<magro come un giorno senza pane>>, Otto Peltzer nacque in Germania, a Ellernbrook, l’8 marzo 1900. Mezzofondista di straordinarie qualità, iniziò a scalare le graduatorie europee degli 800 m. nel 1925 facendo registrare un tempo di 1’52”4/5. La stagione della sua completa consacrazione sarebbe stata però la seguente. Il 6 giugno 1926, a Budapest, realizzò infatti il record continentale dei 500 m., coperti in 1’03”6. Era il là dato a un’estate atleticamente perfetta. Durante i campionati open inglesi, il 3 luglio, a Londra, stabilì il mondiale degli 800 in 1’51” 3/5. Quindi a Berlino, l’11 settembre, detronizzò il leggendario Paavo Nurmi, fissando il record del mondo dei 1500 in 3’51”0. Infine, il suo ultimo grande acuto si ebbe a Parigi, il 18 settembre, allorché realizzò il nuovo primato mondiale dei 1000 in 2’25”4/5. Infortunatosi alla vigilia delle Olimpiadi di Amsterdam (1928), venne eliminato negli semifinali degli 800. Il motivo principale per cui, Peltzer, non riuscì a suggellare una così luminosa carriera con un successo significativo in una grande competizione internazionale. Ma è su un altro aspetto della sua biografia che vale soffermarsi. Si allude ai dolorosi travagli che l’atleta tedesco dovette sopportare a causa delle persecuzioni naziste. Tipico spirito anticonformista, la maggior “colpa” di Peltzer fu quella di non mascherare la propria omosessualità. Ancor peggio: frequentava amici e amiche ebree, ed ebbe anche il coraggio di criticare il capo supremo dello sport nazionalista: Hans Von Tschammer und Osten. Messo al bando, si vide costretto a riparare ad Helsinki e Stoccolma, ma con l’avanzare minaccioso delle armate hitleriane non gli furono più rinnovati i permessi di soggiorno e, rientrato in Germania, ad attenderlo trovò la Ghestapo. Arrestato nel porto di Saibniz, per la sua omosessualità subì varie condanne penali e, dal 1941, venne costretto alla cosiddetta “riqualificazione politica”. Riqualificazione scontata nel campo di sterminio austriaco di Mauthausen, laddove sulla divisa da deportato Otto doveva esibire il famigerato “triangolo rosa”. Il marchio d’infamia con il quale la “razza superiore” ariana bollava gli internati accusati di omosessualità. Un lungo, terribile inferno quello patito da Peltzer che finì solo il 5 maggio 1945: giorno della liberazione alleata del lager. La sua storia d’atleta e queste drammatiche esperienze, Peltzer le narrò in un libro autobiografico del 1955: Umkapftes leben. Sport jahre zwischen Nurmi und Zatopek. Ma anche nella Germania federale, che mantenne in vigore i reati di omosessuali fino agli anni ’60, nessuno volle offrirgli un ruolo da allenatore. Così Peltzer preferì emigrare in India contribuendo allo sviluppo atletico di quel Paese. Come ci ha insegnato Primo Levi: <<comprendere la Shoah è impossibile, conoscerla è necessario>>.
Nella foto Wikipedia Otto Peltzer nel 1928