di Edoardo Petagna
Il referendum popolare del 2 giugno 1946, sulla forma istituzionale dello Stato, sancì la transizione dell’Italia dalla Monarchia alla Repubblica e condusse alla elezione di un’Assemblea Costituente.
Il 22 dicembre 1947, a grandissima maggioranza – 453 voti favorevoli, 62 contrari – l’Assemblea costituente approvò la Costituzione repubblicana che entrò in vigore il 1° gennaio del 1948.
Il 18 aprile del 1948, gli italiani votarono per le prime elezioni politiche di uno Stato democratico. La campagna elettorale tra i due schieramenti in campo, il Fronte Democratico Popolare (alleanza tra comunisti e socialisti)e la Democrazia Cristiana, fu molto aspra e la partecipazione alle urne ampissima. Circa ventisette milioni di persone, il 92,23% degli aventi diritto, tra i quali per la prima volta le donne, espressero il loro voto.
Le elezioni del 1948 non furono soltanto una normale competizione tra partiti che ambivano con i loro programmi a governare il Paese, ma assunsero toni e significati di scontro tra il Bene ed il Male, di scelta di modelli di vita tra il Cristianesimo e l’Ateismo, di adesione all’ideologia liberale e al sistema capitalistico degli Stati Uniti di America o al comunismo della Russia.
Uno slogan della campagna elettorale recitava:
“Nell’urna Dio ti vede, Stalin no!”
Il gesuita Riccardo Lombardi, detto il “microfono di Dio” per le sue prediche radiofoniche contro le sinistre, così diceva di Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano:
“…c’è un uomo, qui in Italia, che si erge a campione degli interessi nazionali ….ma è un cittadino russo. Si è schierato con la Russia dei senza Dio. Costui si chiama Togliatti …. Va’ fuori d’Italia, va’ fuori straniero!”
(Tratto da – G. Zizola, Il microfono di Dio. Pio XII, padre Lombardi e i cattolici italiani, edizione Mondadori, 1990).
De Gasperi, alla fine del 1947, accennò a “puzzo acre di guerra civile” che iniziava a diffondersi nel Paese.
Il Papa, Pio XII, nel messaggio natalizio del 1947, era stato molto esplicito:
“..essere con Cristo o contro: è tutta la questione.”
Con buona pace di cattolici e benpensanti, il 18 aprile del 1948, la Democrazia Cristiana vinse le elezioni con oltre il 48% dei voti, contro il 31% ottenuto dal Fronte Popolare. De Gasperi fu designato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; il PCI prese la via dell’opposizione.
Poco meno di tre mesi dopo, il 14 luglio, alle 11 circa, Palmiro Togliatti arriva nell’aula della Camera dei Deputati a Montecitorio. E’ in corso un dibattito al quale il segretario del Partito Comunista dedica scarso interesse e, dopo una ventina di minuti, decide di lasciare l’aula. L’accompagna una giovanissima deputata, Nilde Iotti, con la quale ha iniziato un rapporto sentimentale extraconiugale, lui che è un uomo sposato.
I due escono da un’uscita secondaria di Montecitorio; li segue un uomo armato di pistola che, da una distanza di pochi metri, fa fuoco. Il primo proiettile manca il bersaglio; il secondo colpisce Togliatti alla nuca e si schiaccia contro l’osso occipitale; il terzo penetra in un polmone provocando la ferita più grave; il quarto frattura una costola. La Iotti si butta sul corpo del segretario e urla:
“Hanno ucciso Togliatti, hanno ucciso Togliatti !”
La notizia esplode in aula; un deputato del Partito Comunista entra di corsa:
“Ho visto Togliatti… sta morendo !”
Si scatena il caos; alle 11.40 la seduta vien sospesa.
Togliatti è sul selciato, attorno a lui c’è tanta gente; è ferito gravemente, ma è lucido e invita i compagni di partito, che gli sono ormai giunti vicini, a non fare colpi di testa:
“Calma, calma, state attenti….. Andate a lavorare per il partito…..State calmi, non perdete la testa.”
Il ferito viene ricoverato al Policlinico e sottoposto ad un intervento chirurgico, eseguito da Pietro Valdoni, un luminare della chirurgia. Poco dopo, arriva anche Alcide De Gasperi. E’ sconvolto. Una donna lo riconosce e lo addita:
“Eccolo, il capo degli assassini !”
Potrebbe essere la scintilla per scatenare disordini ma, fortunatamente, non accade nulla.
La notizia dell’attentato si diffonde fulmineamente. Le fabbriche si svuotano, le piazze si riempiono. Alla direzione del Partito Comunista si svolge un’accesa riunione; si va verso la proclamazione dello sciopero generale e l’obiettivo è uno: far cadere il governo De Gasperi.
Poco dopo le 14, il professor Valdoni esce dalla sala operatoria e, sorridendo, afferma:
“Togliatti è salvo.”
Ciò nonostante, in tutt’Italia esplodono le tensioni tra i lavoratori ed i cittadini scesi in piazza e le forze di polizia: ci sono scontri ed atti di violenza e sparatorie. Il bilancio finale sarà tragico.
Il 14 luglio del 1948, Gino Bartali è in albergo, a Cannes. In Francia è festa nazionale e il Tour si concede un giorno di riposo prima delle tappe alpine. Bartali ha vinto il Tour de France nel 1938, dieci anni prima, e la sua parabola discendente sembra ormai segnata. In classifica generale, ha un ritardo di 21 minuti sulla maglia gialla Louison Bobet, grande favorito della corsa e beniamino dei francesi.
I giornalisti italiani lo irritano con le loro domande pungenti:
“Bartali, non ti senti vecchio?”
“Gino, pensi di vincere il Tour?”
La Gazzetta dello Sport ha già scritto il de profundis dell’ormai ex campione:
“Bartali, già re della montagna, oggi non è più re.”
E, facendo un parallelo con la storia contemporanea italiana:
“Tempi duri per le monarchie; anche nel mondo dello sport i re hanno fatto il loro tempo. È la guerra che rovescia il mondo e, atleticamente, sono le grandi corse che sostituiscono gli importanti campioni del passato.”
Anche Alfredo Binda, il commissario tecnico del corridore, intervistato dai francesi dell’Equipe, si è espresso in modo esplicito:
“Bartali non ha più l’età per sostenere gli esami ripetuti del Tour de France. Corre bene, sa risparmiare le forze, ma non recupera abbastanza in fretta come un tempo. Domani, forse, compirà una grande impresa… ma ne risentirà il giorno dopo.”
L’umore di Bartali non è dei migliori, lascia i suoi compagni di squadra in spiaggia e si ritira nella sua stanza; si sdraia sul letto per far riposare il più possibile le gambe. Squilla il telefono; alza la cornetta.
In Italia, nella tarda serata del 14 luglio, la situazione è gravissima: si susseguono gli scontri in piazza con morti e feriti tra i dimostranti e tra le forze dell’ordine. De Gasperi pensa a una mossa che sa di disperazione e decide di fare una telefonata. Non ad Harry Truman, a Washington e nemmeno a Stalin, a Mosca, o a Papa Pio XII, sull’altra riva del Tevere, ma a Gino Bartali.
Quel che segue è tratto dal libro La strada del coraggio dei fratelli Aili e Andres McConnon.
“Mi riconosci, Gino?”
“Certo che ti riconosco. Tu sei Alcide. Mi scusi presidente… ma sa una volta ci davamo del tu.”
“Dobbiamo continuare a darcelo.”- disse De Gasperi.
Gino, esterrefatto, si mette all’ascolto. Un minuto prima era seduto in spiaggia con i suoi compagni, e un minuto dopo parlava al telefono con il primo ministro del suo paese. I due non erano estranei, si erano già conosciuti prima della guerra e avevano frequentato i medesimi circoli dell’Azione cattolica. All’inizio del Tour si erano anche scambiati qualche telegramma amichevole. Ma nulla poteva rendere meno sorprendente quella telefonata.
“Ma dimmi Gino, come va costì?”
“Bene, domani ci sono le Alpi…”
“Pensi di vincere il Tour?”
“Mah… c’è ancora una settimana. Però la tappa di domani la vincerò al novanta percento.”- rispose Gino, domandandosi perché mai De Gasperi, con quello che stava succedendo in Italia, si preoccupasse per lui e per una corsa in bicicletta.
“Hai ragione Gino, è vero, manca ancora una settimana. Ma pensi di farcela? Sai, per noi tutti sarebbe importante.”
“Perché?”
“Perché qua c’è tanta confusione.” – risponde preoccupato il presidente del Consiglio.
“Stai tranquillo, Alcide, domani ce la metteremo tutta.”
Bartali ha sempre mantenuto le promesse; raduna i compagni di squadra e comincia a discutere con loro la strategia per la tappa dell’indomani, 274 chilometri fra Cannes e il traguardo di Briançon, dal livello del mare, fino ai 2361 metri del Col d’Izoard, la vetta più alta.
E’ il 15 luglio, il tempo sta peggiorando e, poco dopo la partenza, Bartali sembra già in difficoltà. Scatta il francese Jean Robic che passa in testa dopo la prima salita, il Col d’Allos; Gino ha già un minuto di ritardo. Al Col de Vars, Bartali dà segni di ripresa mentre dal cielo cade pioggia gelata che diventa neve. Bartali è in rimonta, Robic perde terreno e, alle sue spalle, vede comparire un puntino nero che diventa sempre più grande. Sulla sommità del Vars, il vantaggio di Robic è al lumicino e, al lumicino, sono anche le sue energie. Lungo la discesa del Vars, avviene il sorpasso. Robic, devastato dalla fatica e dalla mancanza di rifornimenti, cede. Poco dopo, anche Bartali va in crisi; il suo organismo ha bruciato tutto quello che poteva bruciare e ora è esausto, con i 32 chilometri di tornanti dell’Izoard che si presentano all’orizzonte. Gino mangerebbe qualunque cosa, ma il punto di rifornimento è distante. Improvvisamente il miracolo ! Uno spettatore, qualcuno dice un prete, gli passa tre banane. Tre banane che gli restituiscono forze e vigore. Bartali si lancia sulla salita dell’Izoard e arriva in cima con sei minuti di vantaggio sul secondo; affronta la discesa e taglia il traguardo a Briançon. Alberic Schotte, arriva secondo ad oltre sei minuti; il ritardo di Bobet è di diciannove minuti; mantiene la maglia gialla ma il suo vantaggio su Bartali adesso è di poco più di un minuto. Ciononostante, cerca di ridimensionare il successo di Bartali e afferma:
“Bartali non ha ancora la mia maglia gialla!”
Al traguardo di Briançon, dagli altoparlanti risuonano le note dell’aria Vissi d’arte, dalla Tosca di Puccini. Bartali, dopo oltre dieci ore di corsa, coperto di fango, tremante di freddo viene avvolto da Binda in un soprabito. Una valletta gli offre un mazzo di fiori; Gino glieli restituisce e urla:
“Ho fame !”
L’Equipe commenta:
“Il buon Dio ha tolto le ali a un angelo per metterle sulla schiena di Bartali !”
La notizia della vittoria vola verso l’Italia. A Roma, un giovane deputato irrompe alla Camera urlando:
“Grandi notizie. Bartali ha vinto la tappa e forse la maglia gialla. Viva l’Italia !”
Da tutto l’emiciclo, da destra a sinistra, si leva un applauso scrosciante che rimbomba nell’aula. Dall’ospedale arriva la notizia che Togliatti si sta riprendendo. L’umore degli italiani cambia. A Roma, la gente si riversa spontaneamente nelle piazze. Le medesime scene di giubilo si ripetono in tutta Italia. La notizia dell’impresa di Bartali ha completamente cancellato la drammatica atmosfera del dopo attentato a Togliatti.
La frazione successiva del Tour, il 16 luglio, è un’altra tappa di montagna, 263 chilometri da Briançon ad Aix-les-Bains con cinque vette da scalare. Bartali arriva al traguardo con sei minuti di vantaggio su Stan Ocker, mentre Bobet crolla definitivamente. Ad Aix-les-Bains, Gino riceve gli auguri di De Gasperi e compare anche un inviato del Papa, che gli consegna una medaglia e gli riporta un messaggio:
“Sua Santità augura a lei, come campione leale e sportivo, di vincere il Tour.”
Bartali invia un telegramma al figlio Andrea:
“Tuo padre è di nuovo campione”.
Vince ancora a Losanna e a Liegi e, il 25 luglio, a 34 anni di età, dopo che sono trascorsi dieci anni dalla prima vittoria al Tour, trionfa sui Campi Elisi di Parigi; ha ventisei minuti di vantaggio su Alberic Schotte, ventotto sul francese Guy Laperbie e più di mezz’ora su Bobet che conclude al quarto posto.
In Italia, Togliatti migliora e il clima di proteste va scemando, ma il bilancio è pesantissimo. Si contano quattordici morti, circa duecento feriti gravi e danni per circa settanta miliardi di lire; costi che si sommano alle enormi spese che il paese deve affrontare per la ricostruzione postbellica.
Oltre che dal senso di responsabilità di Togliatti che, da subito, ha placato gli animi, la guerra civile in Italia è stata veramente scongiurata dalla vittoria di Bartali?
De Gasperi ha, realmente fatto quella telefonata?
Non ha importanza, la leggenda monta, il ciclismo è sport di popolo e il popolo, ancora oggi, vuole credere alle leggende. Comunque sia, Bartali ha compiuto un’impresa.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il 5 maggio del 2020, a vent’anni dalla sua scomparsa, ha così ricordato il ciclista toscano:
“Il nome di Gino Bartali, campione e leggenda del ciclismo italiano, è iscritto a grandi caratteri nella storia dello sport nazionale e rappresenta uno dei simboli dell’Italia del dopoguerra. La Repubblica lo ricorda, a vent’anni dalla scomparsa, come un atleta di straordinario valore, ma anche come un testimone di quello spirito di solidarietà, di sacrificio, di dedizione che ha rilanciato il Paese agli occhi del mondo. Le imprese di Bartali al Giro d’Italia, al Tour de France, nelle grandi classiche internazionali, hanno suscitato entusiasmo tra gli italiani e rafforzato le loro speranze anche in momenti molto difficili.”
All’impresa del 1948, si è ispirato il cantautore Paolo Conte, dedicando, nel 1979, un brano al ciclista.
Bartali
…Sono seduto in cima a un paracarro
e sto pensando agli affari miei
tra una moto e l’altra c’è un silenzio
che descriverti non saprei.
….io sto qui e aspetto Bartali
scalpitando sui miei sandali
da quella curva spunterà
quel naso triste da italiano allegro
tra i francesi che si incazzano
e i giornali che svolazzano…
E, cari lettori, per finire, mi sia permesso un malignetto e compiaciuto sorriso: volete negare la soddisfazione che si prova quando i nostri “cuginetti francesi” s’incazzano per le vittorie sportive degli italiani nei loro confronti…!!??
Fonti:
Aili e Andres McConnon- La strada del coraggio – Gino Bartali, eroe silenzioso
Titolo originale: Road to Valor: A True Story of World War II Italy, the Nazis, and the Cyclist Who Inspired a Nation – edizione originale Crown Publishers, an imprint of the Crown
Publishing Group, a division of Random House, Inc., New York © McConnon llc, 2012.
Stefano Zurlo- Quattro colpi per Togliatti – Antonio Pallante e l’attentato che sconvolse l’Italia
Prima edizione Baldini&Castoldi – La nave di Teseo – gennaio 2019
https://www.youtube.com/watch?v=hBaQaFRJsbk
zazarazà…zazarazà zazarazà zà zà zà…
Foto da Wikipedia