di Marco Giani

Da grande giornalista sportivo qual era, Vittorio Varale (1891-1973) aveva tutta una sua sensibilità linguistica anche diacronica, che lo portava ad osservazioni estemporanee come la seguente, presente in un passaggio de La Paula, il breve testo di fine 1934[1] dedicato alla sciatrice ed alpinista Paula Wiesinger (1907-2001)[2]: «ecco una coppia d’imprese – performances nel linguaggio sportivo del tempo antico». “Tempo antico” ovviamente nel senso di pre-fascista, prima cioè che il regime mettesse al bando i forestierimi.

C’è tuttavia un’espressione linguistica legata in maniera precipua a questo scrittore, giacché indica un concetto che fu alla base di un’estenuante e lunghissima lotta sportiva che egli condusse per quasi dieci anni: il sesto grado. Nel 1965 Varale stese le memorie di quella battaglia, condotta dal 1929 al 1938 assieme a Domenico Rudatis perché nell’ambito dell’alpinismo italiano venisse riconosciuto quel grado di difficoltà d’ascesa alpina che proveniva da oltre confine. La prima osservazione linguistica che troviamo al riguardo è quella collegata alla vittoria nel frattempo ottenuta in ambito sportivo: in quei primi anni Sessanta «persino il parlare corrente» si era ormai appropriato dell’espressione, tanto che il sesto grado «dalle ermetiche relazioni alpinistiche è dilagato nelle case, nelle piazze, sul giornale con un significato indovinatamente allusivo al suo originario per indicare un ‘massimo’, un ‘estremo’ nella progressione di una qualsiasi attività della nostra vita quotidiana»[3]. Per dimostrare l’assunto, Varale fa seguire un mini-spoglio giornalistico, che copre il periodo 1960-1965[4], per poi segnalare come sesto grado fosse stato incluso sia nel complemento di Migliorini al Dizionario Moderno del Panzini (1963), sia nel Dizionario Garzanti della lingua italiana del 1965[5].

Grazie alla sua frequentazione professionale della stampa estera, il giornalista aggiunge poi un altro interessante dato su cui gli studiosi di storia della lingua italiana potranno fare ulteriore ricerca, ossia il fatto che sesto grado dall’italiano fosse passato poi ad altre lingue, come ad es. il francese: «Al pari che nella musica, dove internazionalmente sono stati adottati i termini italiani “maestro”, “adagio”, “allegretto”, “mosso”, eccetera, senza ricorrere alla traduzione nelle rispettive lingue, così all’estero il termine “sestogrado”, “sestogradista” è correntemente usato dagli alpinisti e dalle riviste specializzate. Su Montagne et Alpinisme del giugno 1964, parlando del gruppo del Civetta e dei Cantoni di Pelsa nelle nostre Dolomiti, G. Livanos scrive: “… L’Amérique de l’escalade, l’Eldorado du sestogradiste … ”. Poche storie: il sesto grado è assurto a espressione caratteristica del nostro tempo»[6].

Essendo stato egli stesso al centro dell’introduzione del concetto di sesto grado nel nostro paese, Varale prova a ritornare a ritroso, affermando perentorio: «senza ombra di dubbio ritengo che fu nel febbraio del 1928, nella tipografia dei Fratelli Treves (ora Garzanti), via Palermo, Milano, che per la prima volta in Italia, e in lingua italiana, una linotype […] compose la locuzione “sesto grado”»[7].

Torniamo ora a La Paula, nel passaggio in cui Varale ritorna con la mente all’impresa della direttissima della parete Est del Catinaccio, compiuta da Hans Steger e Paula Wiesinger nell’agosto del 1929[8], e immortalata da Varale stesso con un articolo su un giornale italiano. Con una finta modestia che sa tanto di excusatio non petita, Varale scrive che «quelle magnifiche imprese […] passavano sotto silenzio, o quasi. Mica per farmene un vanto, ma la notizia che la «direttissima» della parete Est del Catinaccio era stata allora aperta, la mandai proprio io, dal Vaiolet, a un grande giornale. Non erano che tre o quattro righe, a naturalmente vi dicevo che la scalata era risultata “estremamente difficile”, per usare la definizione corrispondente all’aüsserst schwierig della Scala di Monaco con la quale, appunto, anche da noi una ristretta ma scelta rappresentanza cominciava a valutare e a riconoscere le difficoltà delle scalate su roccia. E questa era effettivamente una delle scalate a cui la competenza e l’esperienza del capocordata assegnava il posto in quel 6° grado che rappresenta il limite estremo della Scala».

Se questa precisione descrittiva era quindi l’intento della scelta lessicale di Varale, non venne apprezzata dal redattore del giornale, che scelse di correggere, sostituendola con un’espressione a suo modo di vedere più comunicativa per i lettori del quotidiano torinese: «Senonché era la prima volta che una notizia siffattamente aggettivata giungeva a quel redattore sportivo: quell’”estremamente difficile” gli parve un’esagerazione, uno di quegli attentati al senso della misura e della relatività dai quali è bene guardarsi come da un appestato. Un frego di penna allora, e al posto della cancellata parola comparve all’indomani un “molto difficile”, che agli esperti ed agli interessati fece dare un balzo, la definizione aggiunta essendo proprio quella che nella predetta Scala distingue il 4° grado – una scalata del tempo antico, insomma, tanto distante da quel che modernamente s’intende per 6° grado quanto una locomotiva in uso sulle strade ferrate del Regno delle Due Sicilie (le prime funzionanti in Italia) da uno degli odierni tipi “69” o “72” che trainano i nostri treni rapidi e direttissimi. Colpa non ne aveva – il cortese collega che aveva creduto bene di smorzare alquanto quell’avverbio onde non cadere nell’iperbole di cui si fa tanto smercio in queste faccende sportive: la colpa era piuttosto dei tempi, pei quali una esatta valutazione delle difficoltà in roccia e conseguente stima dei valori individuali appariva una eresia».

Serviranno anni, scrive Varale, affinché «il senso moderno e pratico, doveroso e insostituibile, di questa Scala delle difficoltà potesse avere il suo diritto alla vita riconosciuto nell’alpinismo italiano, ce ne volle del tempo e della fatica, e forse nessuno meglio di chi vi parla potrebbe stendere la storia di quel tormentato periodo, al quale finalmente l’autorità e la competenza di Angelo Manaresi, presidente del Club Alpino Italiano, dava la naturale conclusione, proponendo al Duce di riconoscere agli scalatori del 6° l’equipollenza con gli atleti che allo sport fascista dànno l’alto onore delle mondiali vittorie. Dimenticammo (è vero, Rudatis?) tutte le amarezze del passato e le storture dei polemisti: rifulga ora soltanto il presente, col solare riconoscimento dei nostri postulati, e sia il trampolino perché i valori individuali in alpinismo, sportivamente valutati e nazionalmente apprezzati, anche nel futuro documentino in faccia al mondo l’eccellenza degli spiriti e dei muscoli di questi altri Italiani di Mussolini»[9].

Fotografia di copertina: Hans Steger e Paula Wiesinger (1930).Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Paula_Wiesinger_%26_Hans_Steger.jpg?uselang=it


[1] La Paula, Campioni e avvenimenti del giorno, 10 dicembre 1934. Su questo testo, pubblicato dalla tipografia della Gazzetta dello Sport, vd. Marco Giani, La Paula. Una rappresentazione della donna alpinista (1934), in: Il Presente e la Storia, 99 (Giugno 2021), pp. 223-241, https://www.academia.edu/61665273/La_Paula_Una_rappresentazione_della_donna_alpinista_1934_

[2] Per una biografia della sportiva bolzanina, vd. Elio Trifari, Paula Wiesinger (1907-2001), in Donna e sport, a cura di Maria Canella, Sergio Giuntini e Ivano Granata, Milano, Franco Angeli, 2019, pp. 236-241 .

[3] Vittorio Varale, La battaglia del sesto grado. 1929-1938, Milano, Longanesi, 1965, p. 29.

[4] Ivi, pp. 29-30

[5] Ivi, p. 31.

[6] Ivi, p. 30

[7] Ivi, pp. 31-32.

[8] Sulla storia di questa ascesa, vd. https://www.sassbaloss.com/pagine/uscite/catinaccio1/catinaccio1.htm . La pagina contiene l’articolo che Varale dedicò all’impresa e che venne pubblicato da La Stampa, ma l’espressione «molto difficile» di cui parla ne La Paula è assente; piuttosto, l’articolo si chiude con un «estremamente difficile» messo in bocca a Steger.

[9] Per il controverso rapporto di Varale con fascismo, e con il CAI fascistizzato guidato in quegli anni da Manaresi, vd. Marco Giani, La Paula, cit.

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