L’origine italiana del coro della Nazionale femminile degli USA

di Marco Giani

Quando pensiamo ad una partita di football americano, e alla tensione palpabile fra i giocatori, sappiamo bene che c’è un gesto collettivo pensato apposta per dare le ultime indicazioni e caricare ulteriormente ciascun membro del team, ossia l’huddle, cioè il capannello di giocatori o giocatrici che si riunisce a cerchio prima del match. Gesto tipico degli sport nordamericani, viene eseguito anche delle calciatrici della Nazionale femminile, le quali nel farlo urlano dal 1985 un particolare coro, che fa «U-SU-SU-SA!» (1), traslitterato nelle fonti statunitensi con «OOSA-OOSA-OOSA-UHHHHH». Esattamente: si tratta di come un italiano pronuncerebbe (chi di noi non l’ha fatto, da bambino?) l’acronimo «U.S.A», vedendolo scritto per la prima volta, all’italiana!

Per capire che c’azzecchi la nostra cattiva conoscenza della lingua inglese con la Nazionale femminile più titolata della storia (4 volte campione del mondo), che tuttora esegue ogni volta questo coro e lo sente come un vero e proprio rito di iniziazione, occorre tornare all’estate del 1985, in quel di Jesolo, sede del Mundialito femminile che quell’anno vedeva opposte Italia, Danimarca, Inghilterra e USA.

Il 18 agosto le italiane aprirono il torneo scendendo in campo proprio contro le statunitensi, assai intimorite per quello che era il loro esordio internazionale assoluto. È il caso ora di lasciare la parola alla penna di Gwendolyn Oxenham, autrice dei pregevoli saggi sulla storia di questa Nazionale presenti nel recentissimo Pride of a Nation (2023): «Molti tifosi pensano che la storia della Nazionale di calcio femminile degli Stati Uniti incominci nel 1991, ma inizia prima, il 18 agosto 1985. E tutto ciò che questa Nazionale è riuscita ad ottenere nella sua storia esemplare parte col primo passo fatto per scendere dall’autobus che le portava al loro primo incontro calcistico internazionale. Mentre le americane, compresa una diciannovenne dalla criniera leonina che di nome faceva Michelle Akers, attraversavano il tunnel che le avrebbe portate in campo, le loro percezioni si davano alla pazza gioia. È un giorno con un sole sfavillante, riesci a sentire l’odor dell’Adriatico, e addosso a loro piovono gocce di una misteriosa pioggia fatta di carta. Odono un brusìo, un coro, grave e incessante, quasi come si trattasse del rumore delle cicale, ricorda Stacey Enos, che giocava in difesa. “U-SU-SU-SA. All’inizio, le statunitensi pensano di essere fischiate – “Oddio, ci odiano!”, pensa Enos. Quando alza lo sguardo verso il mare di volti sopra di lei per capire se i tifosi italiani stanno veramente gettando contro di loro degli oggetti, intravede di sfuggita il barista di cui è diventata amica – la teenager ogni mattina gli chiede un cappuccino. Lui le fa un gran sorriso e la sua voce emerge da quel basso ronzio attorno, spezzando quel ritmo continuo, e urla: U-SU-SU-SA. In quel momento Enos capisce che quei tifosi di calcio che gettano coriandoli stanno in realtà facendo il tifo per loro, fondendo le lettere della sigla USA in una sola unica parola che possa risultare cantabile: stanno incoraggiando le americane» (2)

Continua Oxenham: «Quando la squadra si dispone in linea a centrocampo, gli altoparlanti incominciano a diffondere Star-Spangled Banner. Qualche giorno prima, durante l’allenamento, hanno cantato l’inno. L’allenatore Mike Ryan, un metalmeccanico di Seattle con una lunga esperienza nelle squadre giovanili, s’era portato dietro uno stereo portatile, e si erano messe tutte a cantare a squarciagola. Ora, mentre si girano verso la bandiera e cantano “O say, can you see, by the dawn’s early light”, capiscono veramente cosa voglia dire, questo momento: sono le prime Americane che giocano per la loro patria; sono loro il grande inizio. Quando l’undici iniziale si raduna a centrocampo, Enos guarda in faccia le proprie compagne e fa un gran sorriso: U-SA. Tutte quante mettono ciascuna la mano sopra quelle delle altre. Al posto di dire “One, two, three, USA”, urlano “U-SU-SU-SA”. È quello che le giocatrici della Nazionale statunitense urleranno in ogni huddle da quel momento in poi – un omaggio a quelle prime pioniere capace di far sprigionare un sacco di adrenalina» (3).

1 Per ascoltare alcuni audio, vd. https://youtu.be/2itSkXuti9U

2 Oxenham, Gwendolyn (2023b): OOSA: The Beginning. In: Hirshey, David / Director, Robert / Fleder, Rob (eds.): Pride of a Nation. California/New York: Ten Speed Press, pp. 20-32, pp. 21-22.

3 Ivi,p. 22.

Fotografia di copertina: la prima Nazionale degli Stati Uniti al Mundialito 1985 di Jesolo. Fonte: www.si.com


 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *