di Raffaele Ciccarelli
Da sempre, soprattutto nelle versioni del secondo dopoguerra, il calcio mondiale si è identificato con il Brasile, probabilmente anche sull’abbrivio delle forti emozioni che aveva suscitato la “tragedia sportiva” del 1950. Il calcio mondiale non poteva non identificarsi con i giocolieri brasiliani, che con Pelé iniziavano a dare anche concretezza al loro modo di giocare, a partire dal mondiale svedese del 1958, in una squadra che oggi definiremmo “All Star”, perché composta da grandi campioni: oltre allo stesso Pelé, Djalma e Nilton Santos, Garrincha, Didì, Vavà, e Mario Zagallo. Quest’ultimo, scomparso in queste ore, è stato imprescindibile per quelle selezioni vincenti almeno quanto lo stesso O’ Rey, ricoprendo un doppio ruolo di centrocampista e di attaccante, ma fungendo da vero equilibratore per una squadra altrimenti inevitabilmente sbilanciata in avanti. Nato nel 1931, di origini libanesi, Zagallo, sentito da subito il richiamo per il pallone, spese la sua carriera in due club, Flamengo e Botafogo, vincendo con entrambe le maglie campionati carioca e tornei statali, spendendosi tra il ruolo di centrocampista puro e quello di ala incursore, ruolo che sublimò proprio con la maglia verde oro della nazionale. Dopo il mondiale svedese, infatti la nazionale brasiliana replicò quasi in scioltezza la vittoria nel mondiale cileno del 1962, stavolta, causa un infortunio, Pelé avrebbe fatto quasi la comparsa, sostituito da Amarildo, con Garrincha sugli scudi ma soprattutto ancora Zagallo a fungere da “mente” in una squadra di campioni, dividendosi il ruolo con Zito e Didì, per un gioco a tratti inarrestabile e spettacolare. Si chiuse, però, bruscamente la sua carriera agonistica con la nazionale, all’indomani della mancata convocazione per i mondiali di Inghilterra del 1966, invero poco brillanti per la nazionale verde oro. Un distacco solo momentaneo, però, perché il ritorno in nazionale fu quasi immediato anche se nelle vesti di selezionatore e non più di giocatore. Qui Zagallo fece un vero capolavoro, gestendo e portando alla vittoria nel mondiale messicano del 1970, per la definitiva acquisizione da parte del Brasile della “Coppa Jules Rimet”, una nazionale composta, tra gli altri, da Gerson, Jairzinho, Rivelino, Tostão e Pelè, una impressionante potenza offensiva di cui fece le spese, in quella finale, proprio l’Italia allenata da Ferruccio Valcareggi e della famosa staffetta “Rivera – Mazzola”. Con quella vittoria, Zagallo divenne il primo al mondo a fregiarsi del titolo mondiale sia da giocatore, sia da allenatore, emulato solo da Franz Beckenbauer (Germania 1974 da giocatore e Italia 1990 da CT) e da Didier Deschamps (Francia 1998, Russia 2018). Non solo, perché Mario Zagallo era in panchina come vice allenatore di Carlos Alberto Parreira nella vittoria brasiliana del 1994, anche questa a spese dell’Italia, negli Stati Uniti, e titolare nel 1998 in Francia, quando si registrò la prima vittoria mondiale dei transalpini. Un vero genio del calcio, un vincente soprattutto con la maglia della nazionale carioca, che ci lascia praticamente a quasi un anno esatto da O’ Rey, Pelè, a salutare un calcio che è ormai ricordi e storia.