di Sergio Giuntini
Incredibile ma vero: anche Dante Alighieri – il sommo poeta – s’occupava di corsa, ossia di antico podismo. Nella Divina Commedia – XV Canto dell’Inferno, versi 121-124 – al fine di fornire al lettore una trasparente immagine della corsa di Brunetto Latini per raggiungere la sua schiera d’anime, egli richiamò alla mente il Palio veronese a cui, da esule politico, aveva personalmente assistito. Quei versi fanno testualmente così: <<Poi si rivolse e parve di coloro/ che corrono a Verona il drappo verde/ per la campagna; e parve di costoro/ quelli che vince non colui che perde>>.
La corsa “dantesca” si teneva (a iniziare dal 1207, per festeggiare una vittoria della Repubblica contro i conti di San Bonifazio ed i Montecchi) nell’ultima domenica di Carnevale o nella prima di Quaresima, ed il premio per il vincitore consisteva in un “Drappo verde”, mentre all’ultimo arrivato spettava un galletto che doveva impegnarsi a spennare fra il dileggio generale degli spettatori presenti.
Al Palio podistico di Verona partecipavano anche “giovani oneste”, tuttavia allorquando per i lazzi e i pesantissimi apprezzamenti sessuali del pubblico maschile esse si videro costrette a rinunciare alla gara, vennero sostituite con prostitute. Donne verso le quali, evidentemente, la morale di quell’epoca non portava alcun rispetto.
Questo ritrovamento dantesco rinvia ad un altro interessante brano letterario. Si allude ad un nostro precedente intervento relativo a Giordano Bruno. Pure Bruno infatti, nella sua opera dal titolo La cena delle Ceneri (1584), introduce con valore metaforico una corsa al Palio. Si tratta evidentemente di un richiamo che avvalora filologicamente sia la sicura conoscenza che Bruno aveva della Divina Commedia, sia l’importanza che quelle prove podistiche (solo in seguito i palii assumeranno un maggior rilievo come corse tra cavalli) rivestivano nella cultura sociale italiana di quel tempo.