di Edoardo Petagna

Sono trascorsi cinquantacinque anni dalla vittoria del Campionato italiano di calcio da parte del Cagliari che, nel 1970, si fregiò del titolo di campione d’Italia, portando lo scudetto ad una latitudine (39°13’25” N) più a Sud di Roma e ancor più lontana da quelle delle città che, storicamente, lo vincevano, Torino e Milano in primis.

Oltre ai giocatori, quelli utilizzati furono solo sedici uomini (Enrico Albertosi, Mario Martiradonna Giulio Zignoli, Pierluigi Cera, Comunardo Niccolai, Giuseppe Tomasini, Angelo Domenghini, Nené, Sergio Gori, Ricciotti Greatti, Gigi Riva, Mario Brugnera, Cesare Poli, Eraldo Mancin, Corrado Nastasio, Adriano Reginato), il merito dell’impresa fu dell’allenatore, Manlio Scopigno, un friulano soprannominato “il filosofo” per il suo modo di approcciare la vita ed il gioco del calcio, del Presidente, Efisio Rocca, del vicepresidente e direttore generale, Andrea Arrica, di tutto lo staff tecnico e logistico e del popolo sardo, di qualunque città, paese e borgo.

Tra i giocatori il Mito, Gigi Riva, colui che detiene tuttora il record di reti – 208 segnate con la maglia rossoblù dal 1963 al 1977, delle quali 156 in 289 presenze in Serie A – e il record di marcature con la Nazionale italiana – 35 in 42 partite. Rombo di Tuono, stando alla definizione di Gianni Brera o l’Hombre verticale, secondo quella di Gianni Mura, entrambi giornalisti sportivi che occupano un posto di assoluto valore nella Storia del giornalismo italiano.

Foto tratta da: cagliaricalcio.com/casteddu/storia-rossoblu/ La formazione tipo del Cagliari 1969/70: Da sinistra, in piedi: Claudio Olinto de Carvalho (detto Nenè), Enrico Albertosi, Comunardo Niccolai, Angelo Domenghini, Gigi Riva; accosciati: Mario Martiradonna, Mario Brugnera, Sergio Gori, Giulio Zignoli, Pierluigi Cera (capitano), Ricciotti Greatti.

La vittoria del Cagliari fu simile allo sbocciare di un fiore, nato da una pianta, curata e accompagnata nella sua crescita fino al suo fiorire, il cui seme era stato piantato anni prima.

Nel secondo dopo guerra, la Sardegna era considerata un’isola lontana dal continente, luogo in cui pubblici e privati dipendenti avrebbero espiato trasferimenti punitivi e sede di servitù militari e di caserme militari – una per tutte quella di Macomer, detta anche forte Apache – terrore di tutte le reclute che svolgevano il servizio militare di leva.

Nel marzo del 1962 fu costituito, nel territorio dell’estrema punta nord-orientale dell’isola, il Consorzio Costa Smeralda con sede in Porto Cervo. Lo scopo del Consorzio era quello di programmare un equilibrato sviluppo urbanistico e residenziale del territorio, di valorizzarlo turisticamente e di preservare gli aspetti ambientali e paesaggistici.

Contemporaneamente, il cosiddetto Piano per la Rinascita della Sardegna, divenne legge dello Stato italiano e si diede inizio alla costruzione della raffineria della SARAS (Società Anonima Raffinerie Sarde), a Sarrocch, sulla costa a sud-ovest di Cagliari, e del complesso chimico della SIR (Società Italiana Resine), a Porto Torres, nella zona nord orientale. Nel 1962, il Cagliari calcio venne promosso dalla serie C alla B e, nel 1964, approdò in serie A.

Per disputare la serie A con una squadra competitiva e per coltivare ambizioni di successo, era necessario disporre di capitali. Nel 1967, i due gruppi industriali, la SARAS, di proprietà di Angelo Moratti, già proprietario e presidente dell’Inter, e la SIR, di proprietà di Angelo (Nino) Rovelli, divennero azionisti di maggioranza della Società calcistica e, subito dopo, Rovelli acquistò il quotidiano La Nuova Sardegna e, attraverso Giuliano Salvadori del Prato, il quotidiano L’Unione Sarda. A questo punto della storia, la Sardegna era stata trasformata in terra di lavoro e di impianti chimici che, certamente, non erano belli a vedersi, ma erano utili alla sviluppo industriale e al rafforzamento dell’economia sarda. Occorreva rendere più dolce la pillola, fare opera di promozione pubblicitaria e turistica, aumentare il senso di appartenenza dell’Isola e  dei suoi abitanti all’Italia.

Ed ecco pronta la magia del Calcio ! Manlio Scopigno, personaggio sui generis e fuori dagli schemi classici, nel campionato nel 1966-67, divenne l’allenatore del Cagliari. La squadra giocò un buon calcio chiudendo la stagione con un onorevole sesto posto. Scopigno, esaltando le doti di Gigi Riva, profetizzò:

“Se non lo vendiamo, il Cagliari può anche vincere lo scudetto.”

Concluso il campionato, il team si recò in tournèe estiva negli Stati Uniti, dove, a margine delle partite di calcio, accadde un fatto tanto increscioso quanto grottesco. Durante una serata all’Ambasciata italiana a Chicago, Scopigno ebbe un bisogno fisiologica e chiese dove fosse il bagno. Per scherzo gli indicarono il giardino. Gira di qua e gira di là, quando la situazione divenne impellente e non più controllabile, fece pipì sulle rose del giardino dell’ambasciatore. Scoppiò lo scandalo e il presidente. Enrico Rocca, trovò l’occasione per licenziare su due piedi quell’allenatore un po’ strano.

Fortunatamente, il nuovo presidente, Corrias, nel campionato 1968-69, lo richiamò in panchina e Scopigno ritrovò Riva e altri giocatori del calibro di Pierluigi Cera, Enrico Albertosi, Mario Brugnera, Roberto Boninsegna, Comunardo Niccolai, quest’ultimo ricordato, soprattutto e ingiustamente, per le autoreti. In quella stagione, fu la Fiorentina a vincere lo scudetto ma al secondo posto si piazzò il Cagliari; fu il preludio alla vittoria del 1970.

Nella stagione successiva, il Cagliari cedette Boninsegna all’Inter in cambio di Bobo Gori e Angelo Domenghini, formando una squadra perfetta in ogni ruolo di gioco.

La partenza fu ottima: un pareggio, a Genova con la Sampdoria e quattro vittorie consecutive, tra cui quella a Firenze sui campioni d’Italia.

Il 14 dicembre 1969, a Palermo, arrivò la prima sconfitta della stagione e una squalifica record di cinque mesi per Scopigno, colpevole di aver insultato uno dei due guardalinee. La squadra tirò avanti lo stesso, come un caterpillar. Cinque vittorie consecutive, con i gol decisivi di Riva ma, in seguito, ci fu un pareggio, in casa con la Fiorentina, e una sconfitta, a Milano contro l’Inter, con il classico gol dell’ex, Boninsegna. A metà marzo, la lotta per il primato era divenuta un testa a testa con la Juventus, con lo scontro diretto da disputarsi a Torino.

La narrazione della partita Juventus Cagliari, del 15 marzo 1970, la riportiamo direttamente dal libro “Mi chiamavano Rombo di Tuono”, scritto in prima persona da Gigi Riva con la sapiente collaborazione del giornalista sportivo Gigi Garanzini.

“Non so se nella storia del calcio, perlomeno italiano, c’è mai stato un secondo tempo come quello di Juventus-Cagliari il 15 marzo 1970. Così assurdo che a raccontarlo tanto tempo dopo mi dà quasi la sensazione di averlo sognato, o letto da qualche parte. Invece no, è esattamente quello che accadde, parola per parola, rigore per rigore, insulto per insulto all’allora principe dei fischietti, Concetto Lo Bello da Siracusa.

Il primo tempo era filato via liscio. Oddio, liscio, il primo gol lo aveva segnato il nostro stopper nella nostra porta, ma diciamo – sorridendo – che con Niccolai poteva anche succedere. Era un grande difensore centrale, che di tanto in tanto faceva un dispetto ad Albertosi: quel giorno entrò su un cross che il nostro portiere aveva già quasi in mano e lo deviò nell’angolo. Ebbe la sfortuna di farlo nella partita che valeva uno scudetto. Pareggiai io poco prima dell’intervallo ed è ovvio che con due punti di vantaggio in classifica il risultato ci stava bene.

Non avevamo fatto i conti con Lo Bello: in compenso li aveva fatti lui, sapendo oltretutto che per uno sciopero improvviso della sede Rai le telecamere erano spente e il secondo tempo della partita in registrata, come usava allora, non sarebbe andato in onda.

Cominciò con un rigore per la Juventus, del tutto inesistente. Protestammo a lungo, lui fu irremovibile, andò sul dischetto Haller e Albertosi parò. Mentre correvamo ad abbracciarlo, l’arbitro tornò a indicare il dischetto: il rigore era da ripetere.

E lì perdemmo tutti quanti la testa, a cominciare da me. Mentre Albertosi piangeva di rabbia aggrappato al palo, io andai da Lo Bello e incominciai a riempirlo di parole, parolacce, insulti. Gli urlai che noi avevamo fatto sacrifici per un anno intero, e non era giusto che un coglione come lui li buttasse all’aria. Gli dissi anche di peggio, lui fingeva di non sentire e continuava a dirmi di pensare a giocare. Anastasi segnò il secondo rigore, che Albertosi non avrebbe mai potuto parare nemmeno glielo avesse tirato addosso, perché dopo le lacrime di rabbia era completamente scarico. Rientrando a metà campo tornammo a dirgliene di tutti i colori. Io in particolare cominciai a chiedergli che cosa dovevo ancora dirgli per farmi mandar fuori, perché la ripetizione di un rigore inesistente era uno scandalo totale, una cosa disumana, e giù con altri insulti.

«Pensa a giocare.»

«No, mi devi espellere.»

Il bello è che ci davamo del tu perché avevamo un bel rapporto. E quando ci incrociavamo in un aeroporto, o una stazione, passavamo del tempo a chiacchierare insieme con il dovuto rispetto ma anche con piacere. Era un siciliano simpatico, leale, onesto: mi piaceva e io piacevo a lui.

Ma adesso ci stava, mi stava facendo perdere uno scudetto in una maniera inaccettabile. Pensa a giocare, mi disse ancora un istante prima di far riprendere la partita. E a Cera, che era il nostro capitano, con quell’aria furba che sapeva fare: e voi pensate a buttar la palla in area su Riva. Il rigore per noi arrivò a qualche minuto dalla fine, per un contatto in area non meno discutibile di quello precedente. Stavolta furono loro a protestare a non finire, io ero così stravolto che non calciai benissimo e Anzolin in tuffo riuscì a toccare la palla, per fortuna senza prenderla

Tornando a metà campo dopo abbracci interminabili perché quel gol valeva praticamente il titolo, Lo Bello mi fissò a lungo e la sua espressione diceva: «Allora, hai visto?».

Gli risposi ancora un po’ secco: «E se lo sbagliavo?».

La parola fine la pretese lui: «Te lo facevo ripetere».

La spiegazione, non ufficiale ma insomma, saltò fuori qualche tempo dopo. Ed è tuttora la mia opinione. A rappresentare gli arbitri italiani al Mondiale messicano era stato designato Sbardella: anche perché Lo Bello aveva già partecipato al Mondiale inglese del ’66. E lui, dopo aver diretto il primo tempo alla perfezione, volle dimostrare alla Figc che la sua superiorità era tale da potersi permettere qualsiasi licenza senza influire sul risultato finale. Non mi mandate al Mondiale ma la partita che decide il campionato la affidate a me? E io ci metto i fuochi d’artificio.”

Foto tratta da: cagliaricalcio.com/casteddu/storia-rossoblu/
L’arbitro Lo Bello e Gigi Riva in Juventus Cagliari del 1970

Il 12 aprile, allo stadio Amsicora (il Sant’Elia fu inaugurato l’anno dopo), si disputò Cagliari-Bari. Tutta la Sardegna fremeva e sperava, mostrando la passione e l’amore per la squadra cagliaritana.

Le cronache riportano che il vecchio stadio era gremito da migliaia di tifosi provenienti da tutta l’isola. Tra la folla, i carabinieri individuarono due pregiudicati che, quella partita, proprio non potevano perderla ! I solerti militi dell’Arma li arrestarono, ma permisero loro, seppur ammanettati, di assistere a tutto l’incontro. Non solo, al termine dei novanta minuti, i due  espressero il desiderio di avere gli autografi dei giocatori e, godendo del privilegio di essere “scortati” dai Carabinieri, prima di essere tradotti in carcere, videro il loro desiderio esaudito !!

Con la vittoria dei sardi per 2-0, lo scudetto fu matematicamente vinto, essendo il vantaggio sulla Juventus di cinque punti a due giornate dalla fine del torneo (all’epoca i punti per la vittoria erano due). I rossoblù chiusero il campionato 1969/70 con 45 punti, frutto di diciassette vittorie, undici pareggi e solo due sconfitte; al secondo posto l’Inter, con 41 punti e al terzo la Juventus, con 38.

Foto tratta da: cagliaricalcio.com/casteddu/storia-rossoblu/
Gigi Riva segna il gol del 2 a 0 contro il Bari
 

Gianni Brera scrisse:

“Lo scudetto del Cagliari rappresentò il vero ingresso della Sardegna in Italia. Fu l’evento che sancì l’inserimento definitivo della Sardegna nella storia del costume italiano. …… la Sardegna aveva bisogno di una grande affermazione e l’ha avuta con il calcio, battendo gli squadroni di Milano e Torino, tradizionalmente le capitali del football italiano. Lo scudetto ha permesso alla Sardegna di liberarsi da antichi complessi di inferiorità ed è stata un’impresa positiva, un evento gioioso.”

Nel campionato 1970/71, a fine ottobre, Riva si infortunò gravemente a Vienna durante la partita che opponeva la Nazionale italiana a quella austriaca. Norbert Hof contrastò duramente il giocatore italiano causandogli la frattura del perone della gamba destra. Al termine della stagione, il Cagliari si classificò settimo e, nei campionati successivi, fu tutto un precipitare finchè, sei anni dopo aver conquistato lo scudetto, nel 1976, la squadra retrocesse in serie B; il trionfo del 1970 rimase unico e mitico.

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