di Sergio Giuntini

L’acuta fiction-mania da cui sembra affetta la nostra televisione pubblica non risparmia più niente e nessuno. Alla continua ricerca di nuovi personaggi tratti dalle patrie vicende, di respiro storico, culturale o sociale poco importa, da portare nelle case degli italiani, le tre reti RAI ci inondano di biografie più o meno liberamente sceneggiate e arrangiate, fornendo non di rado dei brutti esempi di “servizio pubblico” e, di sovente, non riuscendo neppure a convincere  lo stesso grande pubblico composto non soltanto da affezionati e pazienti abbonati di prima fila. In questa caccia all’italiano famoso da riscoprire, ha finito per essere coinvolta la stessa storia dell’atletica leggera italiana. Negli ultimi anni due suoi celeberrimi interpreti sono stati riraccontati da “Mamma RAI”: Dorando Pietri (Luigi Lo Cascio) e Pietro Paolo Mennea (Michele Riondino). Una coppia rispetto a cui, effettivamente, si sarebbero potuto riscrivere delle belle storie ricche di pathos, ma senza esagerare, senza eccedere nel retorico-sentimentale e, soprattutto, senza inventare di sana pianta. Altrimenti il risultato, che guarda solo ai dati Auditel, diventa fuorviante, i personaggi riproposti appaiono oltreché falsi “imbalsati”, poco credibili nel loro “buonismo” a senso unico, e la RAI perde quel ruolo educativo-formativo che continua a rivendicare come uno dei suoi fini fondamentali. Ciò che, sostengono con forza ogni volta i suoi massimi dirigenti, li distingue o dovrebbe distinguerli dai canali della concorrenza privata. Queste critiche, d’altronde, non sono solo nostre, ma ci troviamo in una buona compagnia. Ecco cosa scriveva ad esempio su la Repubblica del 21 marzo 2013 Antonio Dipollina a proposito del lavoro su Pietri: <<”Il sogno del maratoneta”, ovvero la miniserie di RaiUno dedicata a Dorando Pietri, risulta tra le meno viste di sempre. E questo riporta al solito vicolo cieco: se si resta calligrafici e banali si porta a casa il pubblico di riferimento, tutti più o meno si annoiano ma nessuno si lamenta>>. Dunque, il povero Pietri già beffato a Londra nel 1908, non ha avuto miglior fortuna in televisione, inciampando anzi un clamoroso fallimento anche sotto il profilo degli ascolti. Su Il Corriere della Sera del 31 marzo 2015, in relazione a “Pietro Mennea. La freccia del sud”, Aldo Grasso era ancora più severo e osservava impietosamente: <<Abbozzare un ritratto di un personaggio simile è la cosa più difficile al mondo, specie nella modalità dell’agiografia, tipica di Rai Fiction. Eppure Luca Barbareschi (produttore), Ricky Tognazzi, Simona Izzo e Fabrizio Bettelli (soggetto e sceneggiatura) e Michele Riondino (Mennea) non hanno esitato a buttarsi in una storia più grande di loro, delle loro capacità espressive […]. Mennea non aveva bisogno di essere “santificato”, i risultati sportivi (per un atleta sono le uniche cose che contano) parlano per lui. E invece qui assistiamo a una corsa di eventi trasformati in luoghi comuni, con abuso di ralenti […]. La costruzione è così fragile che basta un pezzo di repertorio o la voce inconfondibile del telecronista Paolo Rossi perché tutto crolli>>. Insomma: una stroncatura solenne da parte del nostro massimo critico televisivo. E allora, la domanda che anche in noi torna ad affacciarsi, è la seguente: ma la storia dell’atletica in TV rende davvero? O forse, è meglio occuparsi d’altro?              

da www.Raiplay.it

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