di Edoardo Petagna

Parte prima

La lattina di Mönchengladbach

Oggi come oggi, all’ingresso degli stadi calcio, e non solo, solerti steward o professionali poliziotti controllano gli spettatori in entrata e le eventuali borse o zaini al seguito alla ricerca di oggetti non adeguati a circolare all’interno dell’impianto di gioco. Sono quegli oggetti denominati “idonei all’offesa” del tipo bottiglie di vetro o di plastica e lattine di birra o di bibite gassate che lo spettatore potrebbe lanciare dagli spalti, recando danni ai giocatori o ad altri tifosi.

Lodevole, necessaria precauzione, che parte da lontano, ma che, sicuramente, non era in atto in Germania, nel lontano 1971, quando il 20 ottobre, nella partita di andata degli ottavi di finali di Coppa Campioni a Mönchengladbach, si incontrarono l’Inter ed il Borussia, disputando quella che sarebbe passata alla storia per la partita della lattina.

I giovanotti di belle speranze come me, all’epoca, frequentavano le scuole superiori e non esistevano affatto piattaforme sportive che trasmettessero gli incontri di calcio; c’era solo la Rai che, quella sera, non trasmise in tv la partita. La notizia esplose nei notiziari della tarda sera e in quelli del mattino successivo: l’Inter era stata sconfitta per 7 a 1 e il suo centravanti, Roberto Boninsegna, aveva dovuto lasciare il campo perché colpito in testa da una lattina di Coca-Cola lanciata dai tifosi tedeschi. Lo sconcerto per una simile sconfitta era paragonabile solo alla difficoltà di pronunciare il nome della città tedesca, Mönchengladbach, 11 consonanti e solo 5 vocali; tutt’oggi, per me, uno scioglilingua! Sicuramente, la trasferta era stata sottovalutata dalla squadra milanese e la formazione tedesca snobbata nei pronostici ma, fin dall’ingresso in campo e dai primi minuti di gioco, i calciatori dell’Inter si erano resi conto che non sarebbe stata certo una serata di relax. Innanzitutto, lo stadio e l’ambiente: una bolgia infernale con le tribune di legno, senza alcuna separazione fisica dal terreno di gioco, sulle quali erano assiepati un paio di migliaia emigrati italiani e ventottomila tedeschi, con in corpo ettolitri di birra e ancora intossicati nel cuore e nel cervello dal ricordo dell’esito della semifinale del mondiale messicano dell’anno precedente, Italia Germania 4 a 3; serata di pioggia, terreno scivoloso e subito ritmo forsennato, imposto dai giocatori di casa.

La squadra nerazzurra, che era allenata da Gianni Invernizzi, nella stagione precedente aveva vinto il suo undicesimo scudetto, il primo della presidenza di Ivanhoe Fraizzoli, dopo una rimonta eccezionale sul Milan. Il Borussia, era poco noto in Italia anche se nelle sue fila militavano giocatori come Berti Vogts, Wimmer, il belga Le Fèvre e Gunther Netzer. La natura aveva dotato quest’ultimo di due piedoni eccezionali, numero 47, che gli permettevano di calciare il pallone dandogli le traiettorie più strane e imprevedibili. I suoi calci di punizione dal limite dell’area di rigore erano quasi sempre una sentenza inappellabile per i portieri avversari.

Al settimo minuto, il Borussia era già in gol con Heynckes; al 18esimo pareggiava Boninsegna e, un minuto dopo, il Borussia ritornava in vantaggio con la rete di Le Fèvre. All’incirca al 29esimo, l’episodio decisivo. Boninsegna si apprestava a battere una rimessa laterale ma veniva colpito da una lattina di Coca Cola scagliata da un giovane tifoso tedesco di origine olandese, Manfred Kirstein. L’interista stramazzava al suolo, semisvenuto, mentre Netzer, approfittando della confusione, raccoglieva la lattina la consegnava a un poliziotto che, a sua volta, la faceva sparire. Il capitano dell’Inter, Sandro Mazzola, si accorgeva della manovra e provava, inutilmente, a convincere l’agente a consegnare l’oggetto. Al suo rifiuto, con prontezza e scaltrezza, si rivolgeva ai tifosi italiani presenti sugli spalti, recuperando da essi una lattina, identica all’oggetto lanciato contro il giocatore nerazurro, che consegnava all’arbitro Dorpmans. Boninsegna, ripresosi dalla botta, usciva fuori dal campo in barella, con un gran bernoccolo in testa, fra le urla del pubblico tedesco, inferocito contro i soliti italiani “maestri nel fare la scena.”

A tal proposito, il difensore del Borussia Ludwig Müller, dopo l’incontro, dichiarò: 

“Ho visto la lattina colpire la spalla di Boninsegna. All’inizio sembrava piuttosto perplesso. Quindi il capitano dell’Inter, Mazzola, gli ha urlato qualcosa e giù, cadde a terra come colpito da un fulmine. La lattina era tanto buona quanto vuota. L’ho notato quando l’ho presa a calci in direzione della linea. Boninsegna voleva alzarsi, ma un massaggiatore lo spinse ancora e ancora. Quindi si lasciò trasportare su una barella. Ma abbiamo visto che ha ammiccato ai suoi compagni di squadra. È stata una grande recita”. 

Foto Corriere della Sera- Mazzola mostra la lattina all’arbitro.
Di spalle Netzer, capitano del Borussia
 
Foto Corriere della Sera – Manfred Kirstein, il lanciatore della lattina
Foto Corriere della Sera – Boninsegna esce in barella

Qualche anno dopo, nell’ottobre del 1979, a pochi giorni da Inter-Borussia di coppa UEFA, sarebbe pervenuta al Corriere della Sera una lettera che così recitava:

Sono G.B., ho 39 anni ed ero a Mönchengladbach; accanto a me c’era M.L. . Entrambi abbiamo visto la lattina colpire Boninsegna e rivolare subito o quasi tra gli spalti, non so se ad opera di un giocatore del Borussia o di un in inserviente campo. Come Mazzola è venuto dalla nostra parte alla ricerca del contenitore, istintivamente gli ho dato la lattina di Coca-Cola, ancora piena, che avevo in mano. Era tale l’eccitazione che invece di chiamarlo Sandro, l’ho chiamato Ferruccio (n.d.r. – Ferruccio era il fratello di Sandro, anch’egli calciatore). I tifosi tedeschi ci hanno insultato e fortunatamente si sono limitati a questo.

Nel frattempo, sul campo di gioco si era scatenato un parapiglia furioso tra i giocatori di entrambe le squadre e il direttore di gara. Gli italiani chiedevano la sospensione dell’incontro, i tedeschi accusavano Boninsegna di simulazione, l’arbitro, incerto e confuso, non sapeva che pesci pigliare e, secondo alcuni giocatori dell’Inter, avrebbe detto che considerava chiusa la partita. A contorno di tutto, il pubblico protestava e inveiva, a stento contenuto dalla polizia. L’autore del lancio, identificato, veniva condotto fuori dello stadio in stato di fermo.

Ristabilita la calma, la partita riprese con i giocatori dell’Inter sicuri di avere già partita vinta a tavolino per 3-0, secondo il regolamento italiano, in forza dell’impossibilità da parte di Boninsegna di rientrare in campo e della responsabilità oggettiva della squadra padrona di casa. Il Borussia, di tutt’altro avviso, continuò la sua partita martellando la difesa interista e segnando altre cinque volte; con Le Fèvre, e Netzer nel primo tempo e, nel secondo tempo, con Heynckes, ancora Netzer e con un rigore realizzato da Sieloff; risultato finale col più che tennistico punteggio di 7 a 1. Ultimo episodio, il calcione scagliato da Mario Corso all’arbitro, che gli valse l’espulsione ed, in seguito, la squalifica di 14 mesi.

In tardissima serata, al rientro della squadra in albergo, a Colonia, la situazione era la seguente:

risultato finale 7 a 1 per i tedeschi; Boninsegna ancora frastornato, con una vasta ecchimosi e relativo bernoccolo in testa, riscontrato anche dal medico del Borussia; sporta denuncia, da parte dell’Inter, alla Polizia locale; squadra milanese certa della vittoria a tavolino per 3 a 0.

Invece, colpo di scena ! In piena notte, il direttore sportivo nerazzurro, Franco Manni, fece irruzione nella stanza di Peppino Prisco, stimato avvocato del Foro milanese, vice-presidente dell’Inter, molto noto tra i tifosi italiani di calcio per aver  pronunziato una beffarda frase: “..dopo aver stretto la mano a un milanista, corro a lavarla. Dopo averla stretta a uno juventino, mi conto le dita !”

Manni aveva scoperto che, nel Regolamento dell’UEFA, non era prevista la responsabilità oggettiva di una Società in seguito ad atti teppistici dei suoi sostenitori. In pratica, altro che sicura vittoria a tavolino, valeva il verdetto del campo!

Si tornò in Italia  con le streghe dinanzi agli occhi e con la consapevolezza che il 7 a 1 fosse realtà.

E fu proprio l’enormità del risultato, assolutamente inaccettabile, che spinse l’avvocato Prisco a stilare un ricorso all’UEFA che permettesse di uscire dal quel cul de sac.

La giustizia sportiva europea non aveva mai affrontato casi simili, ma le motivazioni erano oggettive; fu proprio facendo leva su di esse che, Peppino Prisco, con un’arringa magistrale, chiese la vittoria a tavolino. Lasciando uno spiraglio aperto all’UEFA, concluse affermando:

“Se non volete punire troppo severamente il Borussia, salvate almeno lo sport: quella sera a Mönchengladbach fu umiliato.”

I tedeschi tentarono di dimostrare che il lanciatore fosse stato un italiano al seguito dell’Inter, ma la Polizia confermò che si trattava di un olandese, naturalizzato tedesco, ovviamente, tifoso del Borussia La UEFA optò per un compromesso: non la sconfitta per 3 a 0 al Borussia, ma la ripetizione della partita.

Naturalmente, i tedeschi opposero ricorso alla Commissione d’Appello dell’UEFA e, sostenendo la tesi della sceneggiata e della simulazione, chiesero la conferma del risultato del campo. Nulla da fare; l’UEFA non si spostò di un millimetro e decretò la ripetizione dell’incontro in una sede diversa da  Mönchengladbach. Dopo una prima ipotesi in Svizzera, a Berna, la sede prescelta fu Berlino.

Archivio de La Stampa

Il 3 novembre, si giocò a Milano la partita di ritorno, divenuta, di fatto, la gara di andata. L’Inter vinse con per 4 a 2, con i gol di Bellugi, Boninsegna, Jair e Ghio; i tedeschi risposero con Le Fevre e Wittkamp, lasciandosi ancora un margine di possibilità per passare il turno.

Ed eccoci, il 1° dicembre, all’Olympiastadion di Berlino. I tedeschi avvelenarono la vigilia con polemiche ed accuse. Uno degli obbiettivi era l’avvocato Prisco, definito ‘Il mafioso’, che fu bersaglio di lancio di oggetti, insulti e contumelie per tutta la durata dell’incontro. Prisco, avvolto in una sciarpa tricolore, resistette stoicamente.

A difendere la porta, Invernizzi schierò, invece di Lido Vieri, un giovanissimo Ivano Bordon. Questi parò il parabile e l’imparabile, compreso un rigore di Sieloff, concesso, generosamente, dall’arbitro inglese Taylor.

Foto Corriere della Sera – Bordon para il rigore calciato da Sieloff

Terminò 0 a 0,  l’Inter passò ai quarti di finale. Il giorno dopo, Gianni Brera sintetizzò il tutto:

L’Inter ha eliminato il Borussia Mönchengladbach. A tanto è pervenuta dopo tre incontri: ha disastrosamente perso il primo in Germania 7 a 1, ma per sua immeritata fortuna uno spettatore ubriaco ha avuto il ticchio di scagliare una lattina di Coca-Cola sulla capa di Boninsegna, in azione presso l’out. Subito Mazzola gli ha gridato qualcosa che poteva anche essere ‘Buttati giù’. Boninsegna è franato perdendo i sensi e forse anche la faccia. I legali dell’Inter hanno sporto reclamo e l’UEFA ha annullato la partita. Il Borussia è poi venuto a San Siro e vi ha perso 4 a 2. Il ritorno in Germania ha avuto luogo a Berlino. I tedeschi non sono riusciti a segnare e gli interisti pure”.

E la lattina, protagonista indiscussa della vicenda ?

Il 22 giugno 2012, la lattina tornò a casa. Era stata custodita dall’arbitro olandese, Jef  Dorpmans, che l’aveva poi donata al museo della squadra olandese del Vitesse Arnhem. In seguito, su richiesta del Borussia, gli olandesi la riconsegnarono ai tedeschi, che la tengono, tuttora, esposta nel museo del club.

Dopo aver battuto lo Standard Liegi e poi, in semifinale il Celtic, i nerazzurri si qualificarono per la finale di Rotterdam. Lì, incontrarono il marziano Johan Cruijff che, con una doppietta, condusse l’Ajax alla vittoria della Coppa dei Campioni. Eliminato dall’Inter, il Borussia perse l’occasione di poter essere l’avversario dell’Ajax e di contendergli la Coppa. Ancora oggi, i tedeschi si consolano esponendo in bacheca, invece della Coppa dalle grandi orecchie, una lattina ammaccata di Coca Cola! (continua)

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