dal Seminario “SPORT E SOCIETA’” – Milano, USR per la Lombardia in collaborazione con l’associazione Alexandria (a.s. 2013-2014) –  DALLA RICOSTRUZIONE AL SESSANTOTTO

di Felice Fabrizio

L’UOMO DELLA PROVVIDENZA

Nel 1948 Bartali è atteso ad un ultimo appuntamento con la storia.

Il trentaquattrenne ciclista toscano inizia in modo brillante il Tour de France, ma col passare del tempo deve cedere il passo al giovane campione transalpino Louison Bobet, rispetto al quale accumula un distacco superiore ai ventuno minuti.

Alle undici e trenta del mattino del 14 luglio, all’uscita dalla Camera, Palmiro Togliatti e gravemente ferito dallo studente siciliano Antonio Pallante.

La Confederazione del Lavoro proclama lo sciopero generale. 

I vecchi partigiani disseppelliscono le armi nascoste. Si occupano fabbriche, linee ferroviarie, centrali telefoniche. Spuntano le barricate. Scoppiano violenti scontri che provocano morti e feriti tra i dimostranti e le forze dell’ordine. Spunta un Fausto Coppi comunista davvero, militante senese arrestato e massacrato di botte dalla celere. Il paese é in stato preinsurrezionale.

Il gruppo dirigente del PCI é consapevole dell’irrealizzabilità di una rivoluzione. Nel contesto internazionale l’Italia rientra nella sfera di influenza degli Stati Uniti che, come hanno rivelato i documenti dei servizi di sicurezza americani, in caso di colpo di mano comunista sono pronti a mantenere e a rafforzare le truppe di occupazione e le basi militari, a sospendere gli aiuti economici da cui dipende l’economia nazionale, ad assistere finanziariamente e militarmente le forze moderate.

Senza contare che, accanto ad un’Italia che scende in piazza, ce n’é un’altra ben più consistente che, specie al Sud, non ha alcuna intenzione di mobilitarsi.

“Se l’ondata di protesta monta – é il parere di Luigi Longo – la lasciamo montare. Se cala, la blocchiamo”.

Privi di direttive, i “compagni piu combattivi”, non in linea con le direttive del partito che ha posto come obiettivo realistico le dimissioni del governo, appaiono sempre più isolati.

La sera del 14 luglio, nel suo albergo di Cannes, Bartali riceve una telefonata confermata tanto dai compagni di strada quanto dal professor Paschetta, uomo di collegamento tra l’Azione Cattolica e la Democrazia Cristiana. In linea c’é De Gasperi in persona, tanto telegrafico quanto esplicito: “Gino, qui c’e l’inferno. Vedi se puoi fare qualcosa”.

E Bartali obbedisce, imponendosi nella Cannes – Briancon e riducendo ad un minuto il suo distacco da Bobet.

Al Senato, dove é in corso una tumultuosa seduta, entra trafelato il deputato democristiano Matteo Torengo che reca la notizia del trionfo di Gino. Scoppia un applauso ecumenico.

La lieta novella raggiunge l’assembramento che si é creato in via Galilei davanti alla sede de “La Gazzetta dello Sport” e di qui dilaga in piazza del Duomo, dove ai capannelli degli agit-prop subentrano quelli dei bartaliani e dei coppiani.

Alle otto di sera il direttore del Giornale Radio Carlo De Biase, rompendo ogni consuetudine, apre il notiziario con l’annuncio del successo di Bartali.

Intasati di chiamate, i centralini della TETI e della STIPEL incidono un disco in cui sono sintetizzati i termini dell’impresa.

Nelle due tappe successive Gino infligge agli avversari distacchi abissali, arriva a Parigi in maglia gialla, coglie la prima grande affermazione sportiva italiana del dopoguerra. Al rientro in Italia offre la maglia gialla a Santa Teresa. E’ consacrato ad eroe locale nel corso di una cerimonia tenuta a Ponte a Ema in cui l’onnipresente Gedda lo nomina “ambasciatore all’estero dei Comitati Civici”. 

Viene ricevuto in udienza dal papa, che lo addita ad esempio di “campione della Patria e della Fede, due cose che vanno benissimo d’accordo”. 

E’ l’ospite d’onore di un banchetto di notabili democristiani, nel corso del quale Giulio Andreotti gli consegna una foto di De Gasperi con la dedica al “campione di italianità”. 

E’ condotto dal capo del governo al Quirinale, dove tra Gino ed Einaudi si svolge il seguente siparietto: “Caro Bartali, dovrei regalarle un’enorme coppa”. 

“Presidente, sarebbe meglio se potesse levarmi un po’ di tasse”. 

“La capisco, ma per questo non posso proprio fare niente”.

“Se si lanciasse l’idea di un triumvirato De Gasperi, Scelba e Bartali – scrive Giovannino Guareschi – l’ottanta per cento degli italiani accetterebbe con entusiasmo”.

Un giornale della Capitale si affretta a pubblicare le memorie di Bartali, che l’incorreggibile “Don Basilio” taccia di “ridicole elucubrazioni di un presuntuoso tutto pieno di sé, scelto dall’Ufficio del Destino come insostituibile rappresentante di un tipo umano da ammirare e da applaudire”.

L’Uomo della Provvidenza che ha salvato pedalando l’Italia dalla rivoluzione entra così nel mito senza passare per la storia.

Una storia che ci racconta una realtà diversa. Con la revoca dello sciopero generale decisa a mezzogiorno del 15 luglio la tensione sta calando ben prima dell’annuncio dell’affermazione di Bartali, dei cui effetti miracolosi non si trova traccia né nei rapporti dei prefetti e delle autorità di pubblica sicurezza né nelle testimonianze dei militanti comunisti.

Ancora una volta tutto il peso della operazione poggia sulle spalle della stampa cattolica, con l’ausilio dei fogli moderati, in una sostanziale omogeneità degli spunti di cronaca, dei commenti, delle scelte stilistiche e lessicali: “accade l’evento imprevisto; come per incanto; avviene come un miracolo; se Dio vuole…”.

Sentite come si rievoca la vicenda in un libro sui grandi campioni del ciclismo redatto nel 1951 da Giordano Goggioli: “tutti erano cupi in volto. La paura, l’odio, i sentimenti più terribili si leggevano sui visi dei passanti. Nelle case le donne tremavano al pensiero di dover rivedere i figli, i fratelli, i mariti con le armi alle mani. Ma una sera la radio annunciò che Bartali aveva vinto. La notizia passò più rapida di un fulmine, lego i gruppi con un nastro tricolore ricordando che eravamo tutti italiani. La gente sorrise. Dalle citta, dalle campagne si levò un grande sospiro di sollievo. Di nuovo ci sentimmo uguali e ci riguardammo con amore”.

Non é difficile cogliere il sotto testo: l’ansia di esorcizzare uno stato d’animo diffuso di paura di una nuova e ancora più cruenta resa dei conti dopo quella seguita alla Liberazione, un’ansia che trova espressione nell’uso dei più vieti luoghi comuni. 

Italiani brava gente, mai disposti a sacrificarsi fino in fondo, pronti a lasciar perdere politica e storia in cambio di un piatto di maccheroni e delle effimere passioni sportive. Rivoluzionari da operetta, belve assetate di sangue trasformate in innocui scavezzacolli che, dopo aver fatto i capricci, tornano in fretta ai trastulli prediletti, in scolaretti che, nel pieno della mischia, maniche rimboccate e fionde alla mano, vedono passare un moscone e restano a guardarlo distratti e divertiti.

Per Bartali è l’ultimo colpo di coda. Avviato sul viale del tramonto, si ritira nel 1954 riducendosi in seguito a innocua macchietta televisiva, campione di qualunquismo (“gli é tutto sbagliato, gli è tutto da rifare”).

Nei cieli di un ciclismo sempre più distante dalle tensioni politiche e sempre più assorbito dalla logica degli interessi commerciali, splende l’astro di Coppi.

Per lo scorno del mondo cattolico, che coglierà una meschina vendetta guidando prima la compagnia del linciaggio dell”’adultero nazionale” travolto dalla passione e per la “dama bianca”, poi la danza macabra attorno al letto di morte del Campionissimo, scomparso nel gennaio del 1960 in seguito ad una banale infezione malarica.

Una morte che, come quella di Valentino Mazzola, qualcuno, riecheggiando la profezia di Padre Pio, attribuirà alla “mano di Dio”.

Termino qui. Per saperne di più, occorre fare appello ai sempre meno numerosi

“nonni di oggi che sono stati i ragazzi di ieri”. Che hanno fissato Bartali nei cieli chimici delle fotografie, che l’hanno aspettato, gridato, innalzato tra i santi, sfruttato e dopo dimenticato.

Chissà se la ragazzina bellina ha capito chi era Bartali.

Io resto seduto in cima a un paracarro. E aspetto che tra un silenzio e l’altro dietro quella curva spunti il naso triste di un arcitaliano, che rappresenta al meglio questo popolo di santi, di poeti, di navigatori, di eroi. E di ciclisti. (Fine)

Bartali e Coppi – La Gazzetta dello Sport. In copertina Bartali e Coppi Toscana 1954

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Stefano Pivato, Sia lodato Bartali. Ideologia, cultura e miti dello sport cattolico (1936 – 1948), Roma, Edizioni  Lavoro, 1985;

Paolo Facchinetti, L ’Italia di Coppi e Bartali, Roma, Compagnia Editoriale, 1989;

Daniele Marchesini, Coppi e Bartali, Bologna, Il Mulino, 1998;

Auro Bulbarelli, Magni il terzo uomo, Roma, RAI – ERI, 2012;

Giuseppe Castelnovi, Tre uomini d’oro. Magni, Bartali, Coppi, Milano, Vallardi, 2011;

Mimmo Franzinelli, Il Giro d ’Italia. Dai pionieri agli anni d’oro, Milano, F eltrinelli, 2013;

Aili e Andres Mc Connon, La strada del coraggio. Bartali, eroe silenzioso, Roma, 66thand2nd, 2013.

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