di Raffaele Ciccarelli
A volte il calcio regala ai suoi protagonisti il privilegio di vivere più vite: costruirsi la carriera da una parte, proseguirla vincente da un’altra, esaltarsi in un’altra ancora. È quanto si può riferire della carriera calcistica di Kurt Roland Hamrin, che ha terminato in queste ore il suo percorso terreno. Molteplici, appunto, le vite calcistiche di quello che è passato alla storia come Uccellino, per via della sua taglia minuta che però gli consentiva di saltare in velocità quanti gli si opponevano e involarsi verso la porta avversaria. Iniziò la sua carriera nella natia Stoccolma, all’AIK, mettendo subito in mostra il suo talento realizzativo. All’epoca in Svezia vigeva il dilettantismo, per cui fu facile allettare il giovane Kurt con un contratto professionistico in Europa, e ad aggiudicarsene le prestazioni fu la Juventus. Qui, però, pagò le difficoltà di ambientamento e patì alcuni infortuni che non gli permisero di esprimere il suo talento, fu mandato allora in prestito al roccioso Padova allenato da Nereo Rocco, dove invece riuscì a mettersi in mostra, e a guadagnare il passaggio alla Fiorentina. In Toscana visse un’altra parentesi importante della sua vita calcistica, anzi forse la più significativa, facendo della maglia viola la sua seconda pelle. Con i colori toscani dette vita a stagioni esaltanti che però portarono solo piazzamenti, con la strada verso lo scudetto sbarrata dalla Grande Inter, dalla Juventus di John Charles, Omar Sivori e Giampiero Boniperti, dal Milan del già mitico Gre – No – Li. Fu nelle coppe e in campo internazionale che Hamrin si tolse le sue soddisfazioni con la maglia viola, vincendo Coppa Italia e Coppa delle Coppe nella stagione 1960/1961 e ancora la coppa nazionale e la Mitropa Cup in quella 1965/1966, oltre alla Coppa delle Alpi nel 1961. Dopo nove stagioni con i toscani, con un bottino di centocinquanta gol solo in campionato, record poi superato anni dopo da Gabriel Batistuta, ci fu il trasferimento al Milan, alla corte nuovamente di Nereo Rocco. Con i rossoneri e il Paron arrivò finalmente lo scudetto, il nono per i lombardi, ma soprattutto la vittoria in Coppa dei Campioni la stagione successiva, superando a Madrid il giovane Ajax di Johan Cruijff (4-1). Dopo questa vittoria, Hamrin andò a chiudere la sua carriera italiana al Napoli, andando a formare quello che curiosamente è rimasto noto come l’”attacco del secolo”, perché i suoi protagonisti, José Altafini e Angelo Benedicto Sormani, oltre allo stesso Hamrin, assommavano il secolo di vita. Significativo anche la sua carriera con la maglia della nazionale svedese, con cui arrivò secondo al mondiale casalingo del 1958, superato in finale solo dal Brasile del nascente Pelé. Tante vite da attaccante atipico ma prolifico, chiuse nella sua amata Firenze, che gli aveva rapito l’anima, il posto dove si sentiva a casa.