di Edoardo Petagna

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel 1950, fu nuovamente organizzato il Campionato Mondiale per Nazionali di calcio con in palio la Coppa Rimet che sarebbe stata aggiudicata, definitivamente, alla squadra vincitrice del trofeo per tre volte. A candidarsi come Paese organizzatore del torneo fu il Brasile che era stato risparmiato dalle distruzioni della guerra. Il titolo venne assegnato al termine di un girone all’italiana, disputato tra le Nazionali che avevano superato i turni eliminatori. L’ultima partita del girone fu l’incontro tra Brasile ed Uruguay, rispettivamente con 4 e 3 punti in classifica, da giocarsi  il 16 luglio allo stadio Maracanà di Rio de Janeiro. Duecentomila spettatori, quasi tutti brasiliani e sicuri della vittoria, affollarono le tribune. A vincere, invece, fu la Nazionale dell’Uruguay che bissò il successo del 1930 sconfiggendo la squadra di casa, in rimonta per 2 a1. Al termine della partita, sugli spalti, si registrarono una decina infarti e due suicidi e, in generale, in tutto il Paese, si contarono quasi un centinaio tra  suicidi, infarti e arresti cardiaci; lo stesso difensore brasiliano, Danilo, tentò di togliersi la vita. Il governo brasiliano proclamò tre giorni di lutto nazionale. Nel 1954, fu la volta della Germania a vincere il torneo e ad aggiudicarsi, temporaneamente, la coppa Rimet. Nel 1958 e nel 1962, il Brasile di Pelè eguagliò l’Italia nel vincere due edizioni consecutive e, nel 1966, i padroni di casa dell’Inghilterra, battendo la Germania Ovest (all’epoca la Germania era ancora divisa in Ovest ed Est), poterono finalmente, da maestri del calcio quali essi si reputavano, raggiungere il tetto del mondo calcistico. I campionati del mondo del 1970 si disputarono in Messico. La Nazionale italiana raggiunse la finale dopo aver sconfitto in semifinale, nella partita del secolo, la Germania per 4 a 3. In finale, incontrò il Brasile di Pelè che condusse la sua squadra alla vittoria; la Coppa Rimet prese, definitivamente, la via della nazione sudamericana. Nel 1974, furono i tedeschi della Germania Ovest a vincere il trofeo e, nel 1978, toccò alla Nazionale argentina fregiarsi del titolo di campione del mondo. Dal dopoguerra in poi, e fino all’inizio degli anni ’80, la Nazionale italiana era rimasta cristallizzata ai due titoli degli anni trenta e al ricordo di Vittorio Pozzo, di Meazza, di Piola e di altri giocatori, eroi da leggenda.

Per raccontare del Mondiale, vinto dall’Italia in Spagna, nel 1982, occorre partire da un antefatto, non proprio esaltante. Nel 1980, scoppiò lo scandalo del calcioscommesse. Ai primi di marzo, un commerciante di frutta romano aveva presentato un esposto  alla Procura della Repub­blica di Roma dichiarando che quattro giocatori della Lazio, a lui presentati da un ristoratore della Capitale, assieme ad altri tesserati di squadre dei campionati di serie A e B, lo avevano introdotto in un giro di scommesse su partite truccate. Purtroppo per lui, le cose non erano andate nel verso giusto ed aveva subito perdite economiche enormi che avevano portato al fallimento della sua attività e lo avevano indotto a denunciare i fatti.

Nella primavera del 1980, un clamoroso blitz delle forze di polizia negli stadi italiani, al termine della partita di campionato di domenica 23 marzo, una giornata grigia e piovosa, condusse all’arresto di numerosi giocatori. L’immagine simbolo di quella giornata, fu lo stadio Olimpico, alle cinque del pomeriggio, svuotato degli spettatori, con due auto ferme sulla pista bagnata: una volante della polizia ed un taxi giallo.

Immagini RAI

Quel pomeriggio, vennero arrestati undici giocatori ed il Presidente del Milan, Felice Colombo, e vennero coinvolti anche altri calciatori; tra essi Paolo Rossi, centravanti del Perugia e della Nazionale. Rossi, non comprendeva e non riusciva a credere a quello che gli stava accadendo. Come Josef K., il personaggio del libro Il Processo di Kafka, professò la sua innocenza: “Sono innocente, non c’entro nulla con questa storia.” Nella vicenda lo avrebbe coinvolto un suo compagno di squadra che, alla vigilia dell’incontro Avellino-Perugia, gli aveva presentato il commerciante romano di frutta. Questi gli avrebbe chiesto: “Che fate domenica?” – e Rossi: “Magari vinciamo.” – E l’altro: “…E se pareggiaste?” – A quel punto, Rossi sarebbe andato via. Poche parole per rovinargli la reputazione e la carriera e per farlo condannare, dalla giustizia sportiva, a due anni di squalifica, scontati fino al maggio del 1982, in tempo per rispondere alla convocazione di Bearzot e riprendersi la maglia azzurra in vista del Mondiale da disputarsi in Spagna.

La formula dell’edizione, disputata dal 13 giugno all’11 luglio, vide la partecipazione di 24 squadre: la Spagna – nazione ospitante- l’Argentina – Campione del Mondo in carica – tredici rappresentative europee, tre latino-americane, due africane, due asiatico-oceaniche, due centroamericane. Il torneo si giocò in tre fasi: la prima, con sei gironi di quattro squadre; le prime due di ciascun girone si sarebbero qualificate per la seconda, andando a formare quattro gruppi da tre squadre; le vincenti dei gruppi avrebbero disputato le semifinali e poi le finali.

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Per la Spagna, dopo la fine della dittatura franchista, terminata nel 1975 con la morte di Francisco Franco, l’organizzazione del Mondiale di calcio era l’occasione per aprirsi al mondo. I problemi, per  il giovane capo del governo, il socialista Gonzales e per la giovane democrazia spagnola, non mancavano di certo: tensioni sociali, tensione politiche coi baschi che reclamano l’indipendenza, scorie del fallito golpe dell’aprile del 1981, crisi economica. Si sperava che il Mondiale potesse dare un nuovo impulso all’intero Paese.

Sul teatro internazionale, era in corso un’assurda e sanguinosa guerra tra Inghilterra e Argentina, per il possesso delle isole Falkland o Malvinas, un arcipelago al sud dell’America meridionale. Negli anni precedenti, il generale argentino Videla, golpista e presidente de facto dell’Argentina, aveva speso all’inverosimile pur di ospitare il Mondiale di calcio del 1978, vincerlo e distogliere la  popolazione dai drammi che la nazione argentina stava vivendo, primo fra tutti la tragedia dei trentamila desaparecidos. Nel 1978, la dittatura militare aveva raggiunto il suo scopo; la Nazionale argentina aveva vinto il Mondiale conquistando un titolo, apparentemente, dedicato al popolo, che fu anche linfa vitale per il regime militare. Nel 1982, l’Argentina si proponeva di bissare il successo e, contemporaneamente, si avventurò nella guerra contro gl’inglesi, per riconquistare uno sparuto gruppo di isole situate a sud del mondo. Gli argentini fidavano sul fatto che il governo inglese di Margareth Thatcher, alle prese con un lungo sciopero dei minatori, che avevano paralizzato il Paese, non si sarebbe impegnato per difendere gli abitanti di origine inglese e gallese che abitavano le Falkland. Purtroppo per loro, le cose andarono diversamente; gli inglesi allestirono una flotta navale, raggiunsero il teatro della contesa, navigando per dodicimila chilometri, e infersero al nemico una dura sconfitta. La guerra si concluse il 14 giugno, il giorno successivo all’inizio delle partite di calcio, con la resa degli argentini.

Un altro fronte sempre critico era quello mediorientale; il 3 giugno, a Londra, uomini  dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) ferirono gravemente l’ambasciatore israeliano in Gran Bretagna. Israele, il 6 giugno, rispose con un’azione di forza, invadendo il Libano per distruggere le basi dell’OLP. L’operazione fu denominata Pace in Galilea.

In Italia, all’epoca, il Presidente della Repubblica era Sandro Pertini, socialista e uomo della Resistenza antifascista. Il Presidente del Consiglio dei ministri era Giovanni Spadolini, intellettuale fiorentino, segretario del Partito Repubblicano, primo Capo di Governo non democristiano dalla proclamazione della Repubblica.

Nei giorni precedenti la partenza della squadra italiana per la Spagna, il clima attorno agli azzurri e a Bearzot era molto teso e non erano mancati gli argomenti di polemica e di contestazione. La lista dei ventidue giocatori che avrebbero giocato le partite dei Mondiali era la seguente:

Altobelli (Inter), Antognoni (Fiorentina), Baresi (Milan), Bergomi(Inter), Bordon (Inter), Cabrini (Juventus), Causio (Udinese), Collovati (Milan), Conti (Roma), Dossena (Torino), Galli (Fiorentina), Gentile (Juventus), Graziani (Fiorentina), Marini (Inter), Massaro (Fiorentina), Oriali (Inter), Rossi (Juventus), Scirea (Juventus), Selvaggi (Cagliari), Tardelli (Juventus), Vierchowod (Fiorentina), Zoff (Juventus)

La stampa ed i tifosi contestavano il Commissario Tecnico per aver escluso dalle convocazioni l’attaccante romanista Pruzzo e il regista dell’Inter Beccalossi; inoltre, la scelta di Paolo Rossi, che non giocava da due anni, era considerata un azzardo. E proprio Beccalossi era stato il casus belli di un clamoroso episodio. Mentre Bearzot rientrava nell’albergo dove alloggiava la squadra e tutto lo staff, da un gruppo di tifosi si era staccata una ragazza, Anna Ceci, romana, del club Boys nerazzurri, che gli aveva urlato: “Perché non c’è Beccalossi? Perché non l’hai convocato? Scemo, bastardo, scimmione.” Bearzot, nervosissimo, l’aveva raggiunta e l’aveva colpita in viso con un sonoro ceffone. Sedato il parapiglia che si era acceso, gli animi si erano poi calmati ed i due protagonisti del singolare e increscioso episodio si erano spiegati e riappacificati, posando per  una foto che li vedeva distesi e sorridenti. Sembra che, in seguito, Bearzot fosse anche stato tra gli invitati alle nozze della giovane.

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Sperando di lasciare in Italia le polemiche (dolce eufemismo), la Nazionale partì per la Spagna, recandosi in ritiro nella città di Vigo, sulle sponde sull’Oceano Atlantico, dove gli azzurri avrebbero disputato le partite della prima fase. L’ultimo test fu una partita contro la formazione portoghese del Braga, appena promossa nella massima serie A lusitana. Il risultato fu un deludente 1 a 0 con un gol di Graziani e il rinnovarsi di tutte le critiche e di seri dubbi sul passaggio del primo turno.

Finalmente, il  14 giugno, la Nazionale italiana scese in campo.

Vigo (Estadio Balaidos), lunedì 14 giugno 1982;  Italia – Polonia 0-0

Italia: Zoff (cap.), Gentile, Cabrini, Marini, Collovati, Scirea, B. Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani
Polonia: Mlynarczyk, Majewski, Jalocha, Matysik, Janas, Zmuda (cap.), Lato, Buncol, Iwan (72′ Kusto), Boniek, Smolarek.

Arbitro: Vautrot (Francia)

La Polonia è una squadra solida e ben disposta in campo e vuol rinverdire i fasti del Mondiale del 1974 in Germania, dove si piazzò al terzo posto, battendo nella finalina il Brasile. I reduci di quella formazione sono tre: Zmuda, Lato e Szarmach.

Nella Nazionale italiana, Dino Zoff conta la centesima presenza in maglia azzurra e Rossi riprende il suo posto tra i titolari dopo i due anni di squalifica. L’Italia gioca una discreta partita; nel finale, colpisce una traversa con Tardelli, ma non riesce a sbloccare il risultato. Finisce in parità, 0 a 0.

La seconda partita è contro il Perù, il 18 giugno. In Italia, la giornata inizia con una notizia diramata dall’Agenzia ANSA alle 8 del mattino: “Londra, 18 giugno 1982 – Il presidente del Banco Ambrosiano, Roberto Calvi è stato trovato morto, appeso ad un’impalcatura, sotto il ponte dei Blackfriars,(Ponte dei Frati Neri) sul Tamigi”.

Il banchiere era scomparso da qualche giorno. Si pensa subito ad un suicidio, collegato alla messa in amministrazione controllata della sua banca.

Vigo (Estadio Balaidos) – venerdì 18 giugno 1982; Italia – Perù 1-1

Italia: Zoff (cap.), Gentile, Cabrini, Marini, Collovati, 51, B. Conti, Tardelli, Rossi (46′ Causio), Antognoni, Graziani.

Perù: Quiroga, Duarte, Olaechea, Velasquez, Salguero, Diaz (cap.), Barbadillo (65′ Leguia), Cueto, Uribe (65′ La Rosa), Cubillas, Oblitas.

Arbitro: Eschweiler (Germania Ovest)

Reti: 19′ Conti (I), 85′ aut. Collovati

Un pareggio, tutto considerato equo, ancora a Vigo. Bruno Conti porta in vantaggio l’Italia con un tiro dal limite, il Perù pareggia all’85esimo grazie ad un autogol di Collovati che devia in rete un tiro di Diaz. Da rimarcare, un rigore non concesso ai peruviani, un incidente all’arbitro, a causa di uno scontro fortuito con un giocatore del Perù, e la sostituzione, all’inizio del secondo tempo, di Paolo Rossi, evanescente ed avulso dal gioco.

In Italia, la giornata termina con due fatti legati ancora alla morte di Calvi; il primo è lo scioglimento degli organi amministrativi della Banca Ambrosiana e la nomina di un commissario (Agenzia Ansa 17 giugno, ore 18,52), il secondo, drammatico, è il suicidio della segretaria del banchiere, Teresa Graziella Carrocher che si è buttata dal quarto piano dell’edificio ove ha sede la Banca, a Milano.

L’ultima partita del girone di qualificazione è contro il Camerun dei cosiddetti Leoni d’Africa

Vigo (Estadio Balaidos) – mercoledì 23-6-1982; Italia – Camerun 1 -1

Italia: Zoff (cap), Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, B. Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani.
Camerun: N’Kono, Kaham, M’Bom, Aoudou, N’Djeya, Onana, M’Bida, Kunde, Milla, Abega, Tokoto

Arbitro: Dotchev (Bulgaria).

Reti: 61’ Graziani, 62’ M’Bida.

Si assiste ad una delle peggiori esibizioni della squadra italiana. Gli azzurri hanno due opzioni per proseguire nel torneo, la vittoria ed il pareggio, potendo vantare, nei confronti dei camerunensi, un gol in più nella differenza reti. A questo vantaggio, si sussurrava, sommessamente, che i camerunensi avrebbero contrapposto le arti di un potente stregone al loro seguito. Prima delle partite, sembra che compissero dei riti propiziatori; tra essi, il rito del granchio. La partita si trascina stancamente; Paolo Rossi gioca, ancora una volta, una partita da fantasma; un po’ tutta la squadra mostra scarso tono atletico e poca voglia di affondare. Nel secondo tempo, al 60esimo, Graziani segna di testa su un’uscita incerta del portiere avversario; un minuto dopo, pareggia M’Bida e, fino al novantesimo, gli azzurri difendono il punteggio che era sufficiente per la qualificazione. Il rito del granchio aveva fallito e le arti dello stregone non erano stati sufficienti dinanzi ai contro-esorcismi e riti scaramantici italiani !

Disputate tutte le partite, la Polonia risultò vincitrice del girone di Vigo; secondo posto, a pari merito, per Italia e Camerun, tre pareggi a testa; quarto il Perù. Gli azzurri si qualificarono per aver segnato una rete in più: 2 per l’Italia, 1 per il Camerun. La stampa italiana si profuse in critiche e commenti negativi e la squadra rispose col silenzio-stampa: da ora in poi, l’unico a parlare coi giornalisti sarebbe stato Zoff, il capitano … E questa era già una notizia, visto il carattere schivo e di poche parole del portiere friulano !

In seguito, vennero fuori voci e sospetti di una combine con i giocatori del Camerun. Tra smentite indignate, veleni e sospetti, l’unica cosa certa fu che nel girone di qualificazione per le semifinali, la Nazionale italiana si ritrovò a competere con Argentina e Brasile.

Barcellona (Estadio Sarrià) – martedì 29 giugno 1982;  Italia – Argentina 2-1

Italia: Zoff (cap.), Gentile, Cabrini, Oriali (75′ Marini), Collovati, Scirea, B. Conti, Tardelli, Rossi (80′ Altobelli), Antognoni, Graziani

Argentina: Fillol, Olguin, Tarantini, Gallego, Luis Galvan, Passarella (cap.), Bertoni, Ardiles, Diaz (58′ Calderon), Maradona, Kempes (58′ Valencia).

Arbitro: Rainea (Romania)

Reti: 57′ Tardelli, 67′ Cabrini, 83′ Passarella

L’esito della partita sembra scontato; l’Italia evanescente, vista a Vigo, non può che infrangersi contro lo scoglio Argentina che schiera ancora alcuni dei campioni del mondo di quattro anni prima e un giovane Maradona, un giocatore che si appresta ad emulare, e anche a superare, i numeri calcistici di Pelè. Bearzot lo affida alla marcatura di Gentile, detto Gheddafi  per essere nato a Tripoli e, per tutta la partita, Gentile sarà una seconda ombra del fuoriclasse argentino.

Maradona e Gentile – Foto Guerin Sportivo

Il Sarrià è il secondo stadio di Barcellona, più piccolo del Nou Camp; il clima è torrido per la calura asfissiante e per il tifo del pubblico di entrambe le squadre. Gli scontri di gioco sono durissimi e gli azzurri non sono secondi agli argentini. Gentile non concede nulla a Maradona; lo contrasta con ogni mezzo lecito ed al limite del lecito e, quelle poche volte che gli sfugge, ci pensano gli altri giocatori italiani a bloccarlo, anche in modo deciso. Il primo tempo finisce sullo 0 a 0, ma si è vista una squadra italiana molto diversa da quella di Vigo. Nel secondo tempo, l’Italia, al 57esimo, trafigge l’Argentina con un diagonale di Tardelli, che segna su passaggio di Antognoni. La Nazionale italiana prende il comando del gioco, rischiando solo una volta, quando Maradona, su calcio di punizione, colpisce il palo esterno.

E’ poi Rossi a lanciarsi verso l’area argentina; dinanzi a Fillol, colpisce male il pallone, il portiere respinge ma Conti recupera la palla e la  serve indietro a Cabrini. Sinistro secco e gol del 2 a 0; siamo al 67esimo minuto. Esce Rossi, ormai esausto, ed entra Altobelli. Non è finita, perché, all’83esimo, Passarella batte velocemente una punizione mentre Zoff sta ancora piazzando la barriera e segna il 2 a 1. Di qui alla fine, l’Italia ha numerose possibilità di chiudere la partita, ma non riesce a segnare il terzo gol. Comunque, contiene bene l’Argentina che, al termine di un match molto combattuto, viene sconfitta. Dopo la partita, al momento di risalire sugli autobus, che erano parcheggiati l’uno accanto all’altro all’interno del Sarrià, i giocatori delle due Nazionali si ritrovarono a stretto contatto. Gli argentini “annaffiarono” gli azzurri con un lancio di sputi che non rese certo onore al lor rango di Campioni del mondo in carica.

Dopo la partita con l’Argentina, il tifo italiano scese in strada a festeggiare un po’ in tutto il Paese; lo stesso Presidente del Consiglio, Giovanni Spadolini, mentre era impegnato in una trattativa con i sindacati sul problema della scala mobile, si affacciò dal balcone di Palazzo Chigi. Il suo governo stava vivendo giorni difficili e la morte di Calvi, a Londra, e la scoperta  delle oscure trame della Loggia segreta P2 avevano complicato la situazione. La sua apparizione fu  accolta benevolmente dai tifosi italiani che festeggiavano la vittoria. Spadolini affermò di  ritenere che la vittoria della Nazionale avesse contribuito a “rasserenare gli animi, nella delicata riunione sindacale.”

Un mese prima, il 1° giugno, Spadolini aveva ricevuto e salutato a Palazzo Chigi la squadra azzurra in partenza per la Spagna: “Con la mia stretta di mano spero di trasmettervi anche quel po’ di fortuna che ogni tanto qualcuno mi rimprovera. E quando questo avviene io ricordo sempre che Machiavelli equiparava la fortuna alla virtù. Nel vostro caso, virtù calcistica: i risultati che nascono dalla tecnica, dalla fiducia in voi stessi e nella squadra. Come capitano della squadra che si chiama Governo, io non mi stanco mai di ripetere il concetto di collegialità. Se vincerete i Mondiali la memoria storica degli italiani del 1982 sarà molto più legata ai vostri nomi che non ai nomi del mio Governo…”

Il 2 luglio, l’Argentina si scontra col Brasile: in caso di sconfitta, va definitivamente, fuori;  in caso di vittoria, alimenta ancora qualche speranza di raggiungere le semifinali.

Quel giorno, nel ritiro italiano, diretto a Madrid per impegni di stato, arrivò, accompagnato dal ministro del Turismo e Spettacolo Nicola Signorello, Spadolini. “Ero sicuro che ci saremmo incontrati e speravo di portarvi davvero fortuna dandovi appuntamento qui a Barcellona….Lunedi mi trovavo a Bruxelles per un vertice europeo dei capi di Stato e sono stato quasi costretto a prendere a nome vostro l’impegno di battere l’Argentina. Soprattutto il primo ministro inglese, signora Thatcher, mi invitava con particolare accanimento a battere i sudamericani. Tornato in Italia, martedì sera, i tifosi in festa sono passati sotto le finestre di Palazzo Chigi ed io sono andato sul balcone a salutarli e a festeggiare con loro il vostro successo.”

Nel pomeriggio, a Barcellona, il Brasile si impose nettamente, per 3  a 1, sull’Argentina, che fu matematicamente eliminata dalla competizione. Il Brasile, segnando un gol in più degli azzurri si pose in posizione di vantaggio. Ai verdeoro sarebbe stato sufficiente pareggiare con l’Italia, nell’incontro del 5 luglio, per qualificarsi per le semifinali.

E arriva il giorno di Italia Brasile, lunedì 5 luglio. Gli azzurri, che hanno una differenza reti peggiore, hanno una sola opzione: la vittoria. Il successo contro l’Argentina ha risollevato le quotazioni ed il morale della squadra, ma il Brasile visto contro l’Argentina appare una montagna da scalare più alta dell’Everest. I brasiliani sono consci della loro forza e ostentano sicurezza e presunzione. Il solo Falcao, che gioca nella Roma, appare più prudente ed invita i compagni alla cautela: “Non giochiamo una partita d’attacco; a noi, per qualificarci, basta anche il pareggio…. gli italiani sono imbattibili nel contropiede, lasciamogli l’iniziativa….” I compagni non sono d’accordo: “Noi siamo il Brasile, non possiamo giocare per il pari…”

Nel campo avverso, Bearzot studia le mosse e le contromisure allo strapotere tecnico ed atletico dei brasiliani. Collovati ha il compito di fermare Serginho; la marcatura di Zico viene affidata a Gentile che, dopo Maradona, deve fronteggiare un altro brutto cliente; su Eder va Oriali, il cui impegno e sacrificio sarebbe poi stato immortalato da una canzone di Ligabue.

….una vita da mediano da uno che si brucia presto

perché quando hai dato troppo devi andare e fare posto

una vita da mediano lavorando come Oriali

anni di fatica e botte e vinci casomai i mondiali….

Zico e Gentile – Foto Pangea news
Foto – stadiotardini.it

Barcellona (Estadio Sarrià) – lunedì 5 luglio 1982-  Italia – Brasile 3-2

Italia: Zoff (cap.), Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati (34′ Bergomi), Scirea, B. Conti, Tardelli (75′ Marini), Rossi, Antognoni, Graziani

Brasile: Valdir Peres, Leandro, Junior, Cerezo, Oscar, Luisinho, Socrates (cap.), Falcão, Serginho (69′ Paulo Isidoro), Zico, Eder..

Arbitro: Klein (Israele)

Reti: 5′ Rossi, 12esimo Socrates, 25esimo Rossi, 68esimo Falcão, 74esimo Rossi.

Prima di raccontare la partita, vale la pena di fermarsi su colui che l’arbitrerà, l’israeliano Klein. Dal libro di Pietro Trellini del 2019: La Partita – Il romanzo di Italia – Brasile (ed. Mondadori):

“Le cinque della sera, l’ora delle corride. Un uomo solo è al centro del campo nello stadio Sarriá di Barcellona. Il suo nome è Abraham Klein. Porta un orologio per polso, uno tradizionale, l’altro digitale. Non può lasciare nulla al caso, non può certo permettersi di sbagliare. Proprio ora, proprio oggi. È il suo giorno…”.

Klein tra i capitani, Socrates e Zoff – Foto –  Gazzetta del Sud online
 

Il 3 giugno “…a Londra, tre uomini sparano alla testa dell’ambasciatore israeliano Shlomo Argov. Utilizzando l’attentato come giustificazione, tre notti dopo Israele invade il Libano. Esattamente una settimana prima del Mundial. Quel giorno squilla il telefono nella sua stanza d’albergo. È la moglie: “Siamo in guerra, Abraham!” Il loro figlio Amit sta facendo il militare e i pensieri di Klein corrono a lui: “Non possono mandare una recluta in una zona di tiro.” Invece da quella stessa cornetta viene a sapere che è stato già spedito al fronte. Improvvisamente il corpo di Klein è invaso da emozioni sconosciute. La paura gli impedisce di respirare. Il destino di suo figlio è in mani lontane. E per la prima volta nella sua vita scopre di non avere il controllo della situazione. Tutto quello che riesce a fare è accasciarsi sul letto e piangere. Tre giorni dopo, quando viene a sapere che Amit sta combattendo nel punto più caldo di Damour, a pochi chilometri da Beirut, chiede un incontro con Franchi: “Non ce la posso fare” sibila. Il presidente della UEFA e della Commissione Arbitri lo fissa negli occhi: “Ne sei certo?” “Sì, al cento per cento, non posso arbitrare una partita in questo Mondiale. Mio figlio sta combattendo in Libano e io da giorni non ho più notizie da lui, non so nemmeno se sia vivo……Un giorno però, risolutivo, gli arrivò in albergo un telegramma: “Oggi, come sai, è il mio compleanno. Lo sto festeggiando qui, in Libano. Molti miei amici sono morti e il mio cuore è spezzato, ma parliamo molto della Coppa del Mondo e io sto aspettando con impazienza di vederti arbitrare una partita. Con amore”. E fu così che Klein fece il suo dovere di arbitro, entrando anche lui nella Storia.

La partita inizia; trascorrono cinque minuti e Paolo Rossi, dopo più di due anni di digiuno di gol segna la rete dell’1 a 0 e, abbraccia i compagni.

“….Al quinto minuto della quinta partita azzurra, in questo rovente cinque di luglio, la sua testata da cinque metri ha consegnato il vantaggio all’Italia. Sono solo le cinque e venti del pomeriggio. Un’ora che scolpisce i numeri di questo minuto e della maglia di Pablito.” Pietro Trellini: La Partita – Il romanzo di Italia Brasile (ed. Mondadori)

Al 12esimo minuto, Socrates, pareggia, infilando la palla tra Zoff e il palo. Al 25esimo Junior, in un disimpegno difensivo sbaglia; ne approfitta Paolo Rossi che realizza la sua personalissima doppietta e porta il risultato sul 2 a 1. Il primo tempo termina con l’Italia in vantaggio ma, al 34esimo, Collovati si è infortunato e Bearzot lo ha sostituito con Bergomi. E’ l’esordiente più giovane di sempre, diciotto anni e un po’ più di sei mesi, e deve vedersela con la squadra più forte del mondo. E’ soprannominato “lo Zio”;è stato Marini, compagno di squadra dell’Inter,a soprannominarlo così. L’anno prima, quando l’aveva visto in prima squadra e ne aveva appreso l’età, diciassette anni, aveva esclamato: “Solo diciassette anni ? Mi sembra mio zio !!”

Il primo tempo sta per terminare, quando Zico si lancia verso l’area italiano. Gentile, lo strattona, Antognoni e Scirea triplicano la marcatura, Zoff esce dalla porta, Zico tira e poi finisce a terra, Zoff respinge, Klein fischia. Il cuore dei tifosi azzurri si arresta, quello dei brasiliani si gonfia di speranza. Rigore ? Il guardialinee segnala un fuorigioco precedente al fallo, Klein assevera la decisione del suo assistente. Zico si avvicina a Klein e gli mostra la maglietta strappata. Ovviamente, è stato Gentile. Klein conferma che il fuorigioco è stato precedente al fallo e gli concede un sorriso e una possibilità: “La maglietta è strappata ? Se vuole può andare a cambiarla.”

Foto – Dagospia     
            Foto – Il secolo XIX

La ripresa inizia col Brasile che attacca furiosamente. I verdeoro non hanno alcuna intenzione di mollare l’accesso alla semifinale a favore dell’Italia ed è Falcao, a metà ripresa, a battere Zoff con un tiro dal limite dell’area. Paulo Roberto, giocatore romanista, idolo dei romanisti, al momento in carica come ottavo Re di Roma, segna ed esulta con le braccia allargate con la bocca spalancata, come se fosse posseduto dagli spiriti. Il popolo azzurro lo guarda e impreca verso di lui. Costui esulta scompostamente, senza rispetto per l’Italia e per i tifosi della Roma ! La sua gioia è la gioia di un traditore.

Falcão dopo il gol all’Italia nell’82 – Foto IG-Getty Images

Mancano ventidue minuti al termine della partita. Il Brasile vuole vincere, vuole spazzare via la squadra italiana, cancellare l’undici che ha messo in dubbio la sua superiorità. E’ proprio questo il punto: i brasiliani si sentono superiori e non possono e non vogliono pareggiare; vogliono vincere. L’Italia, invece, deve vincere; è un imperativo categorico: il pareggio vuol dire eliminazione.

Al minuto 74, c’è un calcio d’angolo per l’Italia. Lo batte Bruno Conti. La palla arriva in area, due giocatori brasiliani si avventano su di essa; Paulo Isidoro colpisce di testa e il pallone raggiunge Tardelli che mette al centro. Paolo Rossi, ancora una volta lui, infila, lestamente, in rete. L’Italia è di nuovo in vantaggio, le porte per raggiungere le semifinali si riaprono. Non è ancora finita; Antognoni segna la rete che può dare la sicurezza della vittoria ma il segnalinee indica all’arbitro un fuorigioco inesistente; ed il Brasile riprende a martellare. Da rilevare che molti tifosi italiani davanti ai teleschermi, travolti dall’entusiasmo gioiscono e si abbracciano e nemmeno si rendono conto che il gol è stato annullato ! Sono convinti che l’Italia vinca per 4 a 2 e che ormai sia in semifinale. Non è così; ed il Brasile, a un minuto dal termine, si gioca l’ultima possibilità. Klein fischia un fallo poco fuori dall’area di rigore italiana. Dal televisore si sente Zoff che comanda la disposizione della barriera e la posizione dei difensori. Urla: “Antonio….Antonioo !” Ce l’ha con Cabrini.  Eder batte il tiro e all’appuntamento col pallone si presenta Oscar che colpisce di testa con forza e precisione; la palla è scagliata diritta nell’angolo alto in rete, alla sinistra del portiere. Frazioni di secondo interminabili; Dino Zoff, con i suoi quarant’anni si tuffa, vola, ghermisce la palla, atterra e la inchioda sulla linea bianca. I brasiliani tentano di ingannare l’arbitro alzando le braccia al cielo e gridando al gol. Zoff tiene il pallone a terra finchè non è sicuro che l’arbitro si sia accertato che la sfera non abbia varcato la linea bianca. Pochi secondi ancora e Klein fischia la fine della partita. Gli azzurri si abbracciano e onorano gli sconfitti.

Zoff blocca il pallone sulla linea – https://auralcrave.com/

Bergomi si avvicina a Sócrates che si sfila la magica maglia verdeoro e gliela consegna. Marini la chiede a Falcao, ma Paulo Roberto è già d’accordo per lo scambio con Bruno Conti. Gentile parlotta con Zico; vorrebbe la maglietta, ma non  quella che indossa ora, al termine della partita, bensì quella strappata, quella che indossava durante del primo tempo e che ha lasciato negli spogliatoi. Zico acconsente, vanno insieme nello spogliatoio del Brasile e lì avviene la consegna. Gentile ha spesso affermato che quella maglietta strappata è uno degli oggetti più preziosi collezionati nella sua carriera calcistica. I tifosi azzurri presenti al Sarrià esultano. Quelli brasiliani sono attoniti, increduli, muti; molti piangono

Quando le squadre si apprestano a lasciare lo stadio, con i bus, ancora una volta, posteggiati l’uno accanto all’altro, Zico sale su quello degli azzurri, e augura loro di vincere il Mondiale. Altro stile ed altro comportamento rispetto a quello degli argentini di qualche giorno prima.

La Stampa del 6 luglio 1982
La Gazzetta dello Sport del 6 luglio 1982

In semifinale l’Italia incrocia la Polonia che ha vinto il suo girone superando l’Unione Sovietica. Lo scontro diretto tra le due squadre si è concluso sullo 0 a 0, un risultato utile ai polacchi che hanno sentito la spinta dell’intera nazione, incollata a tifare davanti ai televisori. Si dice che anche il Papa, Karol Vojtila, l’abbia seguita, a Roma, in compagnia del primate cattolico Joseph Glemp. Nel corso dell’incontro, l’uomo guida della squadra, Zbignew Boniek ha subito un’ammonizione che lo escluderà dalla semifinale. In casa Italia, Oriali e Tardelli sono usciti malconci dalla partita col Brasile ma Bearzot conta di recuperarli, Gentile ha subito la stessa sorte di Boniek e al suo posto giocherà Bergomi.

Barcellona (Estadio Nou Camp) – giovedì 8 luglio 1982, Italia – Polonia 2-0

Italia: Zoff (cap.), Bergomi, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, B. Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni (28′ Marini), Graziani (70′ Altobelli).

Polonia: Mlynarczyk, Dziuba, Majewski; Matysik, Janas, Zmuda (cap.); Lato, Kupcewicz, Ciolek (46′ Palasz), Buncol, Smolarek (77′ Kusto).

Arbitro: Cardellino (Uruguay)

Reti: 22esimo e 73esimo Rossi.


Si gioca ancora a Barcellona, nel monumentale Stadio del Nou Camp. I tifosi sono giunti da ogni parte d’Italia e hanno ricoperto le tribune di bandiere tricolori e di striscioni. In un Paese diviso da tante piccole e, talora, grandi cose, è l’amore per la Nazionale il collante che unisce tutti. I sociologi e gli esperti di costume affermano che gli italiani  ritrovano la loro identità unitaria per i grandi eventi sportivi, in particolare di calcio, e per le grandi sciagure.

Un unico pensiero, assoluto, totale, unanime, accomuna gli spettatori allo stadio e in Italia: l’ostacolo Polonia sarà superato, travolto; si raggiungerà la finale di domenica 11 luglio e, naturalmente, si vincerà il titolo. Un assioma molto pericoloso che se fosse percepito e condiviso dalla squadra, con sicurezza pari alla leggerezza, sarebbe oltremodo pericoloso. Ma la squadra è presente e consapevole dei suoi mezzi. Dopo ventidue minuti, Paolo Rossi fa quello che tutti si aspettano che faccia, deviando in rete un calcio di punizione battuto da Antognoni. Pochi minuti dopo, Antognoni si scontra con Matisik. Si ferisce a un piede e rimedia sette punti di sutura. E’ costretto a uscire, lasciando il posto a Marini; non potrà giocare l’eventuale finale. Kupcevic fa correre un brivido a tutti colpendo il palo. Nessuna paura, da qualche giorno, gli dei del pallone proteggono la Nazionale italiana ! Nel secondo tempo, Graziani s’infortuna ad una spalla e deve lasciare il terreno di gioco. Entra Altobelli che, tre minuti dopo, passa un pallone a Conti, che crossa in area. Paolo Rossi, non più umano, ma divino, si inginocchia e insacca di testa  il 2 a 0: quinto gol in due partite !

Paolo Rossi segna il 2 a 0 – https://tuttocalcio360.altervista.org/

Alle sette della sera, l’Italia è in finale e gli italiani ritornano nelle piazze e nelle strade,  nuovamente in festa. Più tardi, dall’esito dell’incontro tra Francia e Germania, si conoscerà l’avversario di domenica prossima. I francesi sfidano i tedeschi col calcio-champagne orchestrato da Platini, Tigana e Giresse; i tedeschi mettono in campo la loro proverbiale solidità e l’esperienza nello giocare partite così importanti. I tempi regolamentari finiscono col risultato di 1 a 1 e con un durissimo scontro tra il portiere tedesco Schumacher e il francese Battiston che esce dal campo in barella, tramortito e con due denti spezzati. Nei tempi supplementari, la Francia segna due volte, con Tresor e Giresse. Sembra fatta per i francesi che, privi della giusta esperienza, invece di difendere il risultato, continuano a giocare un calcio spumeggiante e di attacco. L’allenatore tedesco, Jup Derwall gioca la carta Rummenigge, anche in condizioni fisiche non perfette. Il biondo attaccante entra e segna subito il 2 a 3 e poi Fischer pareggia. Si va ai calci di rigore e, all’errore del francese Bossis, risponde il tedesco Hrubesch che manda la palla in rete e la Francia alla finalina per il terzo posto.

Per la finalissima contro la Germania, dopo Italia Polonia, si registra un altro esodo di massa dei tifosi italiani verso Madrid. Quelli che avevano assistito al trionfo sul Brasile si spostano, semplicemente, da Barcellona alla capitale spagnola; quelli che si apprestano a partire dall’Italia utilizzano ogni mezzo per raggiungere Madrid: auto, navi, aerei e ferrovia. Ci sarà anche il Presidente Pertini che, in un primo momento, aveva affermato che non sarebbe andato: “Non vado; se l’Italia perdesse si potrebbe dire che sono stato io a portare sfortuna.” Il Presidente del Consiglio, Spadolini, invece non va. Aveva detto: “Io porto fortuna !” ma, per non fare ombra a Pertini, si ritira in buon ordine – Ubi maior, minor cessat ! – Il cancelliere tedesco Schmidt emula Pertini e, in tribuna d’onore, il Re di Spagna, Juan Carlos, si accomoderà in mezzo ai due.

Madrid (Estadio Santiago Bernabeu)  – domenica 11 luglio 1982,

Barcellona (Estadio Nou Camp) – giovedì 8 luglio 1982 Italia – Germania Ovest 3-1

Italia: Zoff (cap.), Bergomi, Cabrini, Gentile, Collovati, Scirea, B. Conti, Tardelli, Rossi, Oriali, Graziani (7′ Altobelli, 89′ Causio).

Germania Ovest: Schumacher, B. Förster, Briegel, Kaltz, K.H. Förster, Stielike, Littbarski, Dremmler (62′ Hrubesch), Fischer, Breitner, Rummenigge (cap.) (70′ Müller).

Arbitro: Coelho (Brasile)

Reti: Rossi 56esimo, 69esimo Tardelli, 80esimo Altobelli, 83esimo Breitner

https://storiedicalcio.altervista.org/blog/wp-content/uploads/2016/07/ita-ger-capitani-za09v-wp.jpg
 

Bearzot deve sostituire l’infortunato Antognoni, e la scelta cade su Oriali. A difendere dagli assalti di Rummenigge, Littbarski e Fischer schiera Bergomi, Gentile e Collovati con Cabrini e Scirea in seconda battuta. Graziani, anch’egli in imperfette condizioni fisiche, scende in campo ma può giocare solo una manciata di minuti. Esce, sostituito da Altobelli.

La Germania gioca col claudicante Rummenigge e, fin dall’inizio, i tedeschi vanno giù duri contro Rossi, su Graziani e poi su Altobelli. Attorno al 20esimo, Briegel atterra in area Bruno Conti e l’arbitro concede il rigore. In assenza di Antognoni, batte Cabrini; tiro fiacco e sbilenco che finisce fuori. Il portiere Schumacher, la squadra tedesca ed i tifosi tedeschi ringraziano. Forse, stasera, la fortuna è dalla loro parte. I tifosi italiani sono annichiliti; la squadra italiana appare meno brillante rispetto alle ultime partite e sembra patire il contraccolpo psicologico del rigore fallito.

Nel secondo tempo, l’Italia appara più decisa. Dopo dieci minuti, Tardelli batte un calcio di punizione verso Gentile; cross di quest’ultimo e Rossi, velocissimo, scaraventa in rete. Tredici minuti dopo, da Rossi a Scirea che appoggia a Tardelli; sinistro al volo che il portiere tedesco, Schumacher, immobile, vede insaccarsi nell’angolino alla sua sinistra. Tardelli corre come un indemoniato, lanciando un urlo che, dopo più di quarant’anni, fa ancora accapponare la pelle a tutti i tifosi italiani che seguivano la partita.

Esultanza di Tardelli dopo il 2 a 0 (LaRepubblica)
Dipinto Urlo di Munch (Wikipedia)

I tedeschi sbandano e attaccano in massa, aprendo ampi varchi nei quali si fiondano gli azzurri. All’80esimo minuto, Conti lancia Altobelli in area; slalom tra Schumacher, Kaltz e Briegel e palla messa in rete: 3 a 0. Il Presidente Pertini si alza in piedi e si volge verso il Re di Spagna: “Non ci prendono più… non ci prendono più..!!

Il Presidente Pertini: “Non ci prendono più..!!” (Frame RAI)

I tedeschi, all’83esimo, segnano il 3 a 1 con  Breitner. Tra i tifosi italiani, sugli spalti e davanti ai teleschermi, si manifesta un po’ di panico; pochi giorni prima, la Germania, sul finale, ha rimontato due gol ai francesi. Ma l’Italia non è la Francia e gli azzurri conducono in porto la partita. Nando Martellini, il telecronista della RAI, conclude la sua cronaca: “Palla al centro per Muller, ferma Scirea, Bergomi, Gentile… è finita! – l’arbitro Coelho raccoglie il pallone, fischia tre volte e Martellini,commosso, esclama – Campioni del mondo! Campioni del Mondo ! Campioni del Mondo!” E comincia la festa italiana. Il re spagnolo Juan Carlos si felicita col Presidente italiano Pertini; quest’ultimo fa giungere il suo caloroso ringraziamento a  Bearzot e a tutti i calciatori.

Le case si svuotano, tutti in piazza festeggiare. All’Arena di Verona, dove i tedeschi sono di casa, il direttore d’orchestra interrompe l’opera e partono le note dell’inno di Mameli.

Archivio Corriere dello Sport
 
Archivio La Gazzetta dello Sport

La consegna della Coppa il giro di campo dei giocatori che si scambiano il trofeo. Nella mente e nel cuore dei vincitori un turbinio di emozioni e di pensieri.

Verso le dieci di sera dell’11 luglio 1982 il signor Rossi si appoggiò ansimante a un cartellone pubbli­citario dello stadio Bernabeu di Madrid. Intorno a lui un mare in tempesta fatto di mani e bandiere, un’onda che si in­grossa fin quasi a lambire quel serpen­te azzurro che si snoda intorno al cam­po. Davanti a tutti c’è una figura mitologica che diverrà francobollo: metà Zoff, metà coppa del Mondo. Dietro, gli altri eroi dell’ultima impresa del nostro cal­cio.

Meno il signor Rossi, che ha chiuso il suo giro d’onore dopo pochi metri su quel cartellone.

Non è stanchezza, non è commozione: Paolo Pablito Rossi, campione del Mondo e capocannoniere di Spagna ’82 con 6 reti, contempla quel finimondo e – misteri dell’animo umano – si scopre triste: “Guardavo la folla, i compagni e dentro sentivo un fondo di amarezza. Adesso dovete fermare il tempo, adesso, mi dicevo. Non avrei più vissuto un momento del gene­re. Mai più in tutta la mia vita. E me lo sentivo scivolare via. Ecco: era già fini­to.”

tratto da: https://storiedicalcio.altervista.org/blog/paolo_rossi_biografia.html

Paolo Rossi aveva già acquisito la consapevolezza, che matura negli anni, che la vita si vive in due soli tempi: nel passato e nel futuro. Il presente non esiste; nello stesso momento in cui si cerca di attualizzarlo è già divenuto passato e, contemporaneamente, la mente tende al futuro nello stesso piccolissimo intervallo di tempo in cui tentava di fermare il presente o il presente diventava passato. Quando si comincia a pensare in questi termini, vuol dire che si è ormai percepito che, per l’Uomo, l’oceano del tempo, seppure appaia infinito, è limitato; si inizia a comprendere che la porzione di tempo che ci tocca percorrere in questo mondo ha una dimensione finita e si comprende anche che il tempo, che secondo i postulati della fisica classica scorre in maniera indipendente, nella fisica e nella chimica del nostro cervello fluisce secondo le nostre sensazioni e ispirazioni.

Paolo Rossi, il Pablito eroe di Spagna, concluderà il suo percorso in questo mondo il 9 dicembre 2020.

Il ritorno in aereo col Presidente Pertini; la partita a scopone scientifico con Pertini e Zoff, contro Bearzot e Causio e la Coppa in bella vista, sono episodi rimasti scolpiti nella memoria popolare.

Pertini si arrabbiò con Zoff, accusandolo di averlo fatto perdere, ma era stato lui a sbagliare. Un anno dopo, il Presidente ammise il suo sbaglio e, quando Zoff si ritirò dall’attività agonistica, gli mandò un telegramma: “Caro Zoff, io non dimenticherò mai la tua bravura nel Mundial e la tua bonarietà quando, tuo compagno in una partita a scopone, sull’aereo che ci riportava a Roma, ti ho fatto perdere … Vieni a trovarmi, giocheremo a scopone e cercherò di non fare più gli errori che mi hai giustamente rimproverato. Auguri mio caro Zoff.

Archivio La Repubblica

Delle partite dell’estate 1982, ancora oggi, ne riviviamo il ricordo; le gioie, le emozioni, le ansie, le urla, le imprecazioni, i suoni, i cori, li sentiamo come parte della colonna sonora della nostra vita.  In fondo, la realizzazione di un gol dà una gioia istantanea, intensa che pochi altri eventi danno. Una sferzata di energia, una scossa elettrica, un impulso nervoso che dagli occhi, dal cervello scende al cuore. Dura pochi secondi ma, in quel breve intervallo di tempo, si perde ogni freno e inibizione.

…Gli spettatori, uniti nell’euforica esultanza,

pare che dilaghino nel campo. Avvicinatosi all’autore del goal,

i compagni di squadra gli si gettano al collo.

Ben pochi sono i momenti belli come questo,

per gli uomini oppressi dall’odio e dall’amore,

a cui è possibile trarne godimento nella vita terrena…

Umberto Saba: Goal – dalla raccolta Cinque poesie per il gioco del calcio, della serie Parole (1933-34). 

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