di Marco Giani

Nel 1939 il celebre Stefan Zweig fu costretto ad abbandonare un’Europa ormai sull’orlo della guerra. Il Brasile fu la meta del proprio esilio: nel 1941 lo scrittore mitteleuropeo si stabilì con la seconda moglie a Petropolis, vicino a Rio de Janeiro, e in quello stesso anno pubblicò Brasilien. Ein Land der Zukunft (tr. italiana Brasile. Terra del futuro, Roma, Lit, 2013), suo testamento spirituale. La descrizione con gli occhi di un vecchio europeo del giovane stato che lo aveva accolto è tanto più positiva quanto più Zweig condanna in controluce un’Europa contemporanea che ha perso la propria innocenza vendendosi al profitto e all’ideologia, e in particolare a quel nazionalismo che stava in quegli anni distruggendo la pacifica convivenza delle etnie, delle religioni e delle lingue. In uno stato meticcio, pacifico e pieno di energia Zweig vedeva l’unico possibile futuro per l’umanità.

Sfogliando il volume possiamo trovare anche due brevi, ma significativi accenni allo sport, i quali ci fanno vedere per l’ennesima volta come non per forza un intellettuale anziano dell’epoca vedesse di buon occhio lo sport, anzi. Come nel caso dell’italiano Delio Tessa[1], infatti, anche Zweig lo condanna perché ai suoi occhi manifestazione di quella contemporaneità che ha dimenticato i valori dello spirito, e del singolo. Nel capitolo dedicato alla descrizione dello spirito dei Brasiliani leggiamo infatti: «Questa delicatezza del sentimento, questa assenza di ogni forma di veemenza, mi pare la qualità più caratteristica del popolo brasiliano. Qui gli uomini non hanno bisogno di tensioni violente e potenti, per essere contenti non hanno necessità di successo visibile e sfruttabile. Non a caso lo sport (che in fondo rappresenta la passione del reciproco vincersi e superarsi, e che ha buona parte di responsabilità nell’abbruttimento della nostra gioventù) in questo clima che invita alla tranquillità e al comodo godimento non ha acquistato quell’assurda importanza che ha da noi, sicché non si vedono quelle scene selvagge e quelle eccitazioni pazzesche che sono all’ordine del giorno nei nostri paesi cosiddetti civili» (pp. 130-131). Zweig qui se la prende non solo con lo sport praticato, ma soprattutto, come Tessa, con il tifo sportivo, vero fenomeno di massa degli anni Trenta, giudicato incivile e svilente da un fine intellettuale come lo scrittore viennese.

Possiamo tuttavia chiederci se l’«abbruttimento della nostra gioventù» sia un riferimento a tale fenomeno, pan-europeo, oppure all’uso delle attività sportive dentro le associazioni di regime della Germania hitleriana. Verrebbe da propendere per la seconda, accostando a questa prima citazione una seconda, proveniente da un passo immediatamente successivo alla lode per la produzione editoriale brasiliana, e per l’ottimo rifornimento delle librerie locali: «Assai più che da noi, dove politica e sport sviano in maniera ugualmente fatale l’attenzione della gioventù, la produzione spirituale e artistica si trova al centro dell’interesse di tutta la nazione» (p. 141). Un giudizio, quello di Zweig, ai nostri occhi forse un po’ miope, eppure storicamente significativo perché ci fa percepire le resistenze di tanti ad un fenomeno oggi normalizzato, ma all’epoca assai rivoluzionario, quale lo sport, nella sua doppia veste di pratica giovanile di massa, e di tifo che appassionava le folle.

Fotografia di copertina: l’abitazione di Stefan Zweig a Petropolis. Fonte: https://de.wikipedia.org/wiki/Casa_Stefan_Zweig .


[1] Marco Giani, «Di fuori c’è il mondo nuovo agonistico e sportivo». La polemica antisportiva nelle prose giornalistiche di Delio Tessa degli anni Trenta, 27/05/2022, https://www.la-cross.org/2022/05/27/di-fuori-ce-il-mondo-nuovo-agonistico-e-sportivo-la-polemica-antisportiva-nelle-prose-giornalistiche-di-delio-tessa-degli-anni-trenta/

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