di Marco Giani

Fra il 2007 e il 2014 la casa editrice Ediciclo, da sempre attenta alla storia del ciclismo femminile (basti citare Donne in bicicletta, di Antonella Stelitano, 2020, e Volevo fare la corridora, di Moregna Tartagni, 2022) organizzò un «festival del viaggio in bicicletta», denominato Ciclomundi. Fra i vari incontri della prima edizione, svoltasi nel settembre 2007 a Portogruaro (VE), ve ne fu uno durante il quale «al Parco della Pace, sotto al solleone, un pubblico attento e partecipe ha seguito Margherita Hack, la celebre astrofisica amante della bicicletta, e Canzianilla Gasparetto, che ha commosso tutti con il ricordo della sua impresa, assieme alle sorelle Pia e Virginia, nel 1942, attraverso le Dolomiti, tra pranzi a polenta e latte e discese in uno scenario naturale paradisiaco»[1].

La storia dell’allora 80enne di Rovigo[2] è stata già segnalata dalla storica dello sport Antonella Stelitano, all’interno del già citato Donne in bicicletta, nel paragrafo dedicato all’uso della bicicletta da parte delle donne durante la Seconda Mondiale, intitolato «Partigiane (e non solo) in bicicletta». Dopo aver citato il positivo giudizio che una rivista italiana del 1942 dava alle escursioni in bici, contrapposte ad un inaccettabile agonismo femminile[3], la studiosa trevigiana scriveva che «al cicloturismo appartine l’impresa fuori dal comune della rodigina Canzianilla Gasparetto, che negli anni Quaranta, insieme alle sorelle Virginia e Pia, con una bicicletta da donna e indossando una gonna pantalone, percorre 750 chilometri nelle Dolomiti attraverso il passo Tre Croci, il passo Giau e altre impegnative salite, per il semplice gusto della natura. Sicuramente una pioniera nel campo dei viaggi, anticipando quanto molte donne dopo di lei decideranno di fare in sella a una bicicletta»[4].

Il testo dell’intervento (Rovigo – Portogruaro 16-9-2007), gentilmente messomi a disposizione nel febbraio 2022 da Sarah Gaiotto (Ufficio Stampa Ediciclo & Nuovadimensione), merita in effetti una trascrizione integrale, capace di ridare voce alla ragazza del 1942, capace nonostante tutto di ricordare così lucidamente, 65 anni dopo, le proprie emozioni: per quanto si tratti di una fonte sul cicloturismo, non sul ciclismo agonistico, sono abbastanza rari i testi scritti da donne capaci di narrare così l’esperienza di una ragazza dell’epoca, vista dall’interno della propria emotività. Cosa si provava, a compiere imprese del genere?

«Un grazie speciale a tutti gli organizzatori che, con tanto entusiasmo, hanno voluto festeggiare questa vecchietta per la stupenda impresa. Con me, prego ricordare la sorella Virginia, che è in cielo, e Maria Pia, che non ha potuto venire perché da anni è assistita.

È lei che merita una lode, perché silenziosamente ha scritto il diario.

Premetto, innanzi tutto, [che] ho avuto genitori meravigliosi che, pur nel benessere, hanno saputo trasmettere a 12 figli i veri valori della vita. La fede, il rispetto, l’onestà, l’amore al lavoro, al povero e alla natura. In quei tempi c’era molto rispetto per il prossimo. Ho vissuto in un piccolo paese, ma grande nei valori[:] infatti fra il ricco e il povero c’era gran rispetto. Si viveva in un mondo meraviglioso.

Per tutti questi valori abbiamo potuto intrapprendere [sic] una simile avventura, una vera impresa, una conquista con fisico e spirito sani.

I quindici giorni di (bicicletada) sono stati intessuti di risate e molto silenzio, per pedalare costantemente allo stesso ritmo, fra ghiaia, sassi e sassetti. Ogni tanto ci si fermava a bere l’acqua del torrente, una passeggiatina nel bosco a mangiare lamponi, mirtilli e sgiasene[5]: una buona respirata di ossigeno, e poi via, in silenzio, pedalando, e qualche bella risata quando il montanaro, meravigliato e sorpreso, ci salutava, gridando: “Sani!”[6]. In quei tempi era una rarità veder pedalare tre ragazze.

Quando vedevamo le cime dei monti, a volte grigie, a volte innevate, ci si fermava ad ammirare le crode, i ghiaioni e più giù i boschi e i fiori, e in allegria si gridava: “Che beo, che beo!”[7]. Ma la sorella più anziana ci diceva: “Basta, via”.

Prima di partire si guardava nella carta geografica la tappa fissata, e su e giù, giù e su; arrivate al paese, si cercava l’albergo, un convento o un misero alloggio. Per noi era uguale. Anzi, più era misero, come nell’ultima tappa, più si rideva.

Pia la chiamavano “Bartali”, perché ai passi, ghiaiosi e faticosi, arrivava pedalando, e con un sorriso cinico ci aspettava.

Arrivate anche noi due, in cima, spingendo con fatica la bici, si ci fermava un po’, ad ammirare il panorama, e “Che beo, che beo …” . Un po’ di ristoro, un panino, e via, su e giù, per i turniché[8].

Le risate erano una spinta per pedalare con maggior energia e coraggio.

“Ghe semo … Ghe semo …”[9], e giù dalle nostre fuoriserie; nessuna era stanca, l’ossigeno dei boschi ci dava gran forza.

Forse le ruote erano stanche, perché dovevano girare senza mangiare.

Dai boschi e dai prati si sprigionava una musica: il cinguiettio degli uccelli, il belare delle pecore e il muggire delle mucche. A volte, qunado si (sbicicletava) giù dai passi, per i tornanti, si sentiva le scricchiolio della ghiaia, il gorgoglio del ruscello, e ci si fermava ad ascoltare, e a bere.

Il paesaggio era una pittura, case modeste ma ricche di lavori in legno e tanto ordine e rispetto.

Il tramonto ci si fermava ad ammirare le cime rosate, l’azzurro intenso del cielo: era una pittura.

Era un paesaggio di sogno, un paradiso che allietava lo spirito e ci dava nuova energia.

Per tutta questa grande esperienza che ci ha dato tanta gioia di vivere, ancora grazie a mamma e papà e alle nostre 3 care amiche biciclette.

E concludo con un grazie particolare alle care sorelle Virginia e Maria Pia.

Grazie a tutti i presenti

Gasparetto Canzianilla

la bicicletara»

Come detto, i passaggi storicamente importanti sono numerosi. Da una parte, Canzianilla mette un grande accento sui valori trasmessile dalla famiglia, come il rispetto, la fede cattolica, e l’amore per la natura. Essendo la storia ambientata nell’Italia del 1942, potremmo anche rivedere in controluce in quella frase sulla «conquista con fisico e spirito sani» una specie di riedizione degli slogan fascisti sul fisico sano che le ragazze italiane dovevano curare come loro dovere specifico di future madri della nazione, collegandolo magari a quella popolarizzazione della bicicletta che la propaganda curò anche in ambito femminile proprio negli ultimi anni, prima della caduta di Mussolini[10]. Una strada che però a prima vista pare assia poco fruttuosa, non solo perché ci mancano dei fondamentali tasselli biografici riguardanti le tre sorelle rodigine Gasparetto (fede ed eventuale militanza fascista, o anti-fascista, istruzione, vita urbana o rurale, …), ma soprattutto per l’esito finale. Canzianilla infatti ci mette continuamente di fronte al continuo tornare sul silenzio col quale le ragazze si fermavano per guardare le montagne, o meglio per contemplarle, un elemento che ci richiama piuttosto a spiritualità cattoliche come quella di Pier Giorgio Frassati. C’è poi l’attenzione agli animali, alla vegetazione, alle popolazioni alpine … Il fatto infine che le prime persone ringraziate per l’impresa siano i due genitori, visti come coloro che di fatto permisero che il progetto sorgesse mentalmente ancora prima che fattivamente nell’animo delle sorelle, ci suggerisce forse una genesi non tanto sociale, quanto proprio familiare del tutto. In questo senso, più che il contesto sociale, bisognerà porre molta attenzione alla ricostruzione biografica dei vari componenti della famiglia Gasparetto, e da lì ampliare la ricerca, verificando ad es. se Canzianilla fosse imparentata col titolare della Cicli Gasparetto, attiva a Milano nel Secondo Dopoguerra, allorquando nelle proprie pubblicità inseriva non solo immagine di ciclisti, ma pure di cicliste[11].

Fra gli elementi del racconto che invece ci dicono tanto del contesto storico c’è indubbiamente l’accostamento fra la sorella Pia e il ciclista Gino Bartali, «perché ai passi, ghiaiosi e faticosi, arrivava pedalando, e con un sorriso cinico ci aspettava». Da una parte, come sempre, la sportiva viene accostata dalle persone intorno a lei ad una celebrità maschile, allo scopo di sdoganarla, e di darle una dignità in un mondo fino a quel momento esclusivamente maschile (si pensi a Rosetta Boccalini, calciatrice milanese del 1933, definita dalla stampa dell’epoca «Meazza in gonella»[12]); dall’altra, il fatto ci testimonia per l’ennesima volta l’estrema popolarità del toscano, soprattutto in ambito cattolico. Un altro piccolo tassello, femminile, della storia della fortuna di Bartali, già ampiamente ricostruita da Stefano Pivato[13].

Infine, è quasi superfluo segnalare l’interesse storico insito nel recupero del «diario» steso da Maria Pia Gasparetto. Ritrovandolo, si potrebbe capire più nel dettaglio non solo l’itinerario, ma pure l’organizzazione, qui solo accennata (la consultazione delle carta geografica, il soggiorno negli albergi, nei conventi o nei «miseri alloggi» trovati sul cammino) dell’impresa del 1942. Il fatto che quest’ultima venga nominata da Canzianilla non con una parola italiana, bensì dialettale (bicicletada), al pari della propria azione (sbicicletare) e della propria auto-definizione (bicicletara), sono – per concludere – elementi che potrebbero essere proficuamente sviluppati nell’alveo degli studi storico-linguistici.

Fotografia di copertina: Margherita Hack e Canzianilla Gasparetto (con in mano i fogli della sua testimonianza) giungono all’incontro di Ciclomundi. Portogruaro, settembre 2007. Gentile concessione di Sarah Gaiotto (Ufficio Stampa Ediciclo & Nuovadimensione).


[1] https://www.fiabbari.it/ciclomundi-prima-edizione-baciata-dal-successo .

[2] https://ricerca.gelocal.it/ilpiccolo/archivio/ilpiccolo/2007/07/20/NZ_13_CICO.html  .

[3] «Le donne bussano a tutte le porte dello sport, ed esigono gli stessi diritti dell’uomo anche in campo agonistico […] È inutile, quindi, che tu mediti di seguire le orme di Alfonsina Strada. Un ingiusto regolamento ti lascia al di qua dei suoi cancelli di ferro. Bisogna rassegnarsi. Cicloturismo, quello sì. Lunghe passeggiate, magari in compagnia …» (Littoriale della domenica, 15 novembre 1942, p. 2).

[4] Antonella Stelitano, Donne in bicicletta, Portogruaro, Ediciclo, 2020, p. 108.

[5] «In dialetto bellunese “giasena” vuol dire mirtillo» (vd. https://www.freshplaza.it/article/4088681/la-giasena-produce-e-trasforma-mirtillo-delle-montagne-della-pedemontana-bellunese/ ). Qui è probabile che l’autrice intendesse una varietà ai suoi occhi diversa dal mirtillo propriamente detto in italiano.

[6] Saluto tipico del Bellunese, corrispondente al friulano mandi; l’augurio era quello di ‘rimanere sani, in salute’: vd. https://www.facebook.com/groups/216176809250786/posts/793618911506570/ .

[7] ‘Che bello, che bello!’, in dialetto bellunese.

[8] Resa fonetica del francese tourniquet, ‘tornante’.

[9] ‘Ci siamo, ci siamo”, in dialetto bellunese.

[10] Clément Luy: Rappresentazioni dello sportivo, propaganda e ciclismo durante il fascismo, Fonzo, Erminio / Guazzoni, Deborah / Sbetti, Nicola (eds.): Lo sport durante il fascismo. Ricerche storiche e prospettive storiografiche, Bologna, Clueb, 2024, pp. 193-209.

[11] https://disraeligears.co.uk/site/bicicletta_gasparetto.html .

[12] Marco Giani, Storia di un pregiudizio, e di una lotta, in Seneghini, Federica: Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il Duce. Milano, Solferino, pp. 219-330.

[13] Stefano Pivato, Sia lodato Bartali: il mito di un eroe del Novecento, Roma, Castelvecchi, 2018.

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