di Edoardo Petagna
Negli anni ’70, il cantante Claudio Baglioni lanciò in Italia la canzone in cui il suo piccolo grande amore indossava …quella sua maglietta fina tanto stretta al punto che mi immaginavo tutto…
ma la maglietta che vogliamo ricordare qui è un’altra, quella rossa che Adriano Panatta e Paolo Bertolucci indossarono nell’incontro di doppio della finale di tennis di Coppa Davis del 1976.
Erano opposte la squadra italiana a quella cilena, dal 17 al 19 dicembre, all’Estadio Nacional di Santiago del Cile. Nel Cile di allora, a capo del governo e dello stato c’era il generale Augusto Pinochet che, l’11 settembre 1973, con il sostegno dei servizi segreti americani, alla guida dell’esercito, aveva preso il potere con un colpo di stato militare di estrema destra. Il Palazzo Presidenziale della Moneda era stato attaccato via terra e bombardato coi caccia dell’aviazione. Le immagini di Salvador Allende, il presidente socialista eletto democraticamente, nel 1970, col mitra a tracolla e l’elmetto in testa sono, ormai, nei libri di storia.
Allende morì nel corso dell’attacco e le cause della sua morte sono rimaste controverse. La tesi ufficiale fu che si fosse suicidato con un fucile mitragliatore AK-47, lo stesso che gli era stato regalato, personalmente, dal leader cubano Fidel Castro. Gli oppositori al nuovo regime, sia in Cile che all’estero, sostennero subito la tesi dell’assassinio da parte dalle truppe di Pinochet. In tutto il mondo, Italia compresa, ci furono manifestazioni a sostegno del popolo cileno. Il gruppo musicale degli Intillimani, esuli al di fuori del Cile, tennero viva l’idea rivoluzionaria e democratica fino alla fine del regime dittatoriale.
Il governo di Augusto Pinochet si distinse fin da subito per la violenta oppressione degli oppositori politici; dopo il golpe, lo Stadio Nazionale di Santiago divenne un enorme campo di concentramento dove vennero torturate e interrogate oltre quarantamila persone, molte delle quali furono uccise o fatte scomparire.
In Italia, nel 1976, si vivevano i cosiddetti anni di piombo col terrorismo politico e la strategia della tensione. Nell’anno precedente, alle elezioni amministrative, il Partito Comunista Italiano, il cui segretario era Enrico Berlinguer, aveva ottenuto un ottimo risultato e, alle elezioni politiche anticipate di giugno del 1976, il PCI puntava al sorpasso sulla Democrazia Cristiana. Pur ciò non avvenendo, il Partito Comunista raggiunse il suo massimo storico ottenendo oltre 12 milioni di voti.
Il tennis italiano, all’epoca, stava vivendo una delle sue migliori stagioni di sempre. Adriano Panatta, allora ventiseienne, aveva vinto gli Internazionali di Roma, a maggio, e il Roland Garros di Parigi, a giugno. Ad agosto, la squadra nazionale di Coppa Davis aveva sconfitto la Gran Bretagna, a Wimbledon, qualificandosi per la semifinale intercontinentale. La vittoria per 3 a 2 sull’Australia le aveva aperto le porte per la finale.
Nell’altra semifinale, l’Unione Sovietica avrebbe dovuto ospitare il Cile, ma il segretario generale del Partito Comunista, Leonid Brezhnev, pose il veto alla disputa dell’incontro per protesta contro il regime di Pinochet; il Cile si ritrovò in finale senza nemmeno giocare. In Italia, neanche a dirlo, iniziarono lunghe e accese discussioni sull’opportunità di disputare la finale in terra cilena anche perché, nel nostro Paese, si era rifugiato un nutrito gruppo di esuli cileni. Le discussioni andarono avanti, molto accese. Il governo, presieduto da Giulio Andreotti, secondo i canoni di comportamento, tipicamente democristiani, non si sbilanciò, e, figurarsi, il CONI !
Gli unici convinti, fermamente, di disputare la finale erano i tennisti italiani ed il loro capitano non giocatore, Nicola Pietrangeli che asserì:
“Se non andiamo, regaliamo la Davis a Pinochet.”
E qui, polemiche ancora più accese, minacce, insulti e accuse di fascismo.
Intervenne Enrico Berlinguer che, sostanzialmente, si schierò dalla parte dei giocatori italiani, dicendo che non era giusto mettere in mezzo dei ragazzi che giocavano a tennis. A convincerlo definitivamente, fu l’iniziativa del senatore del PCI, il sardo Ignazio Pirastu, che contattò il segretario del Partito Comunista Cileno, Luis Corvalan. Dalla clandestinità, quest’ultimo parlò con Berlinguer e lanciò il messaggio:
“Italiani, venite e batteteli. Solo così si potrà evitare una festa di regime. Non permettete a Pinochet di fregiarsi di quella coppa, anche se vinta a tavolino”
Le sue parole convinsero Berlinguer che vinse le resistenze di Giancarlo Pajetta, influente esponente del PCI che, più di una volta, aveva discusso, animatamente e pubblicamente, con Pietrangeli. Alla fine, la squadra italiana partì per il Cile con la formazione che schierava da anni: Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Antonio Zugarelli.
Gli incontri di finale iniziarono, il 17 dicembre, in un impianto accanto al famigerato Stadio Nazionale. Corrado Barazzutti vinse la sua partita contro Jaime Fillol e Panatta portò il risultato sul 2-0 battendo Patricio Cornejo.
L’incontro di doppio, del giorno successivo, con Adriano Panatta e Paolo Bertolucci per l’Italia e Jaime Fillol e Patricio Cornejo per il Cile, era già un match decisivo per la nostra nazionale per aggiudicarsi la prima Coppa Davis della storia tennistica italiana.
Adriano Panatta propose al compagno di indossare, nei primi set del loro incontro, le magliette rosse, come il colore dei fazzoletti che le donne cilene usavano per denunciare la scomparsa di padri, mariti e figli per mano del regime.
“Paolo, oggi ci mettiamo la maglietta rossa”.
“Ma tu sei matto, questi ci ammazzano” rispose Bertolucci.
“Ma piantala, che vuoi che succeda”.
“Vuoi sfrugugliare?”
“Sì, voglio sfrugugliare”
Nell’intervallo dell’incontro, Bertolucci disse a Panatta che avevano fatto quello che dovevano, e che era il caso di tornare in campo con la maglia azzurra; e così fu. La partita terminò col punteggio di 3 set a 1 per l’Italia e sancì la vittoria italiana della prima coppa Davis. La scelta di Panatta fu una scelta politica, ma in pochi si accorsero delle magliette rosse indossate in campo nella vittoria decisiva. Infatti, con la solita ignavia e paura di schierarsi, la televisione italiana seguì poco o nulla quella finale ed anche i giornali diedero poco risalto all’avvenimento. Panatta in seguito asserì:
“Se nessuno capì fu grave; se qualcuno capì e fece finta di niente, fu più grave ancora.”
La storia venne ripresa, nel 2009, dal regista Mimmo Calopresti che realizzò il film documentario La maglietta rossa. Nel 2013, il gruppo musicale, Modena City Ramblers ha inciso una splendida canzone “Due magliette Rosse” i cui versi ricordano la vicenda.
Due magliette rosse, nello Stadio della Morte
Due magliette rosse come sangue nelle fosse
per le donne di Santiago e la loro libertà
sfidarono il potere con grande dignità.
“Pinochet sanguinario, Panatta milionario!”
gridavan nei cortei, nelle piazze e nelle strade,
chidevano a gran voce “non giocate la partita!”,
non colpite quella palla, non dategliela vinta.
Ma Enrico Berlinguer disse: “voi dovete andare,
giocate per le madri e il mondo vi starà a guardare,
non avete da temere, entrate a testa alta,
giocate la partita, non dategliela vinta!”.
Nel caldo di dicembre dell’emisfero australe entrarono in quel campo accerchiati dai soldati,
il Generale li guardava in piedi sul gradino,
sprezzante coi baffetti e con gli occhi da assassino.
Adriano disse a Paolo “hai portato quella maglia?
Quella rossa, quella bella, oggi noi giochiamo con quella!
Non hai nulla da temere, giochiamo a testa alta,
giochiamo la partita, non diamogliela vinta!”.
Due magliette rosse nello Stadio della Morte,
due magliette rosse come il sangue nelle fosse,
per le donne di Santiago e la loro libertà, sfidarono il potere con grande dignità.
Ed alzarono la coppa nello Stadio della Morte,
due magliette rosse come il sangue nelle fosse,
per le donne di Santiago e la loro libertà,
sfidarono il potere con grande dignità.
Sfidarono il potere con grande dignità!