di Raffaele Ciccarelli

Se c’è stato un giocatore che, nella storia, ha incarnato il ruolo di centravanti, questi non poteva che essere inglese e rispondere al nome di Bobby Charlton. Come nel romanticismo che caratterizza la vita avventurosa di quanti hanno visto questa sbocciare immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale, era nato nel 1937, anche in quella di Bobby si possono ritrovare queste caratteristiche. La sua famiglia di calciatori ne avrebbe visti tanti, molti rampolli dei Charlton riuscirono a sottrarsi alla dura vita dei minatori grazie al calcio, diventando professionisti anche quattro fratelli del padre, Robert, così come il suo primogenito Jack che, diversamente da Bobby, e quasi a completamento famigliare, avrebbe raggiunto la fama e la gloria come difensore, più o meno arcigno, come erano i difensori dell’epoca. Talentuoso, invece, Bobby, schierato inizialmente quale ala d’attacco, spesso con funzionalità anche tattiche, ma il più delle volte utilizzato come centravanti di manovra svolse, in pratica, tutta la sua carriera agonistica nel Manchester United, dal 1953, anno del suo ingresso nelle giovanili del club, al 1973, anno del suo ritiro dallo United, anche se avrebbe sporadicamente giocato ancora qualche anno, prima di indossare, con scarso profitto per la verità, la tuta di allenatore e diventare, infine, dirigente ambasciatore del suo Manchester.

Bobby Charlton 1970

Venti anni in cui avrebbe collezionato più di seicento presenze con la maglia dei Red Devil e centonovantanove gol, che hanno contribuito alla vittoria di tre campionati e di una FA Cup. Talento, ma anche tragedia, perché  Bobby Charlton era rimasto ormai l’ultimo dei sopravvissuti al terribile incidente che falcidiò quasi tutto il Manchester United  nello scalo di Monaco di Baviera nel 1958, di ritorno da una trasferta in Jugoslavia nella Coppa dei Campioni, che sembrava destinato a vincere. Sempre lui, nel 1968, dieci anni dopo quella tragedia, faceva ancora parte dei Busby Babes, rinati dalle ceneri proprio di quel disastro, che si presero la rivincita sul destino vincendo la prima Coppa dei Campioni per il Manchester, contro il Benfica e a Londra, due anni dopo, tra l’altro, che gli era stato riconosciuto il Pallone d’Oro del 1966 quale miglior giocatore continentale. Non solo vittorie in maglia United, ma anche con quella, in genere bianca, dei Tre Leoni della nazionale, con cui vinse l’unico titolo internazionale, finora, dell’Inghilterra, la Coppa del Mondo del 1966, sempre a Londra, sempre a Wembley, premiato dalla Regina Elisabetta. Un uomo, un giocatore che fino all’ultimo ha saputo incarnare l’animo britannico del gioco del calcio.

Foto da Wikipedia.org

Comments

  1. Oltre alle partite del mondiale inglese, ricordo la sfida della semifinale della Coppa dei Campioni 1969 tra Milan e Manchester United. Il Milan vinse la partita di andata per 2 a 0 e, al ritorno in Inghilterra, giocò una partita tutta in difesa, a protezione del risultato di Milano. Il Manchester riuscì a segnare un solo gol, segnato da Charlton, che gli valse la vittoria ma non il passaggio del turno e la possibilità di giocare la finale. Nella squadra inglese giocarono Bobby Charlton, Denis Law, Nobby Stiles, George Best, tutti giocatori eccezionali; nel Milan, Rivera, Trapattoni, Cudicini, Pierino Prati, Rosato. Al termine della partita, nonostante la delusione della sconfitta, Bobby Charlton chiamò a raccolta i suoi compagni di squadra ed i giocatori inglesi si disposero all’ingresso degli spogliatoi, facendo ala ai giocatori del Milan ed applaudendoli per la vittoria che li portava alla finale di Madrid. Grande lezione di stile e di rispetto dell’avversario.

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