dal Seminario “SPORT E SOCIETA’” – Milano, USR per la Lombardia in collaborazione con l’associazione Alexandria (a.s. 2013-2014)

di Sergio Giuntini

La vicenda dell’ex Repubblica Democratica Tedesca (RDT) è emblematica per una quantità di aspetti. Ci parla di “muri” innalzati anche nello sport, di precari compromessi diplomatici e geo-politici ricercati dal CIO, di un sistema sportivo di base e di vertice apparentemente perfetto, di doping di stato, di spionaggio internazionale. Ma se tutto ciò corrisponde a verità, ancor più la RDT fu una incredibile “fabbrica” di medaglie pregiate. Una nazione dalla modesta superficie e popolazione, in grado di produrre alle Olimpiadi prestazioni di contenuto superlativo. Tant’è non sembra azzardato sostenere che la legittimazione politica della RDT sia giunta dopo quella sportiva e in forza di essa. La RDT era, nel e per il mondo, il suo sport; si specchiava nei suoi campioni e nelle sue invincibili campionesse. Il vero “sesso forte” targato DDR (Deutsche Demokratische Republik).

Senza per il momento valutare la bontà “onesta”, cioè non indotta da agenti biochimici o farmacologici, di questi risultati, è tuttavia doveroso evidenziarne la portata. Soltanto tenendone il dovuto conto, si razionalizza il significato di Guerra Fredda prolungata allo sport. Ammessa ai Giochi quale stato autonomo solo da Città del Messico, in un ventennio (esclusa l’Olimpiade boicottata di Los Angeles 1984) la RDT seppe incamerare 448 “metalli” olimpici così ripartiti: 1968: 9 ori, 9 argenti, 7 bronzi; 1972: 20, 23, 23; 1976: 40, 25, 25; 1980: 37, 35, 30; 1988: 37, 35, 30. Nel medagliere finale fu quarta dietro USA, URSS e Giappone in Messico, all’esordio; terza davanti alla Germania Ovest a Monaco di Baviera; sempre seconda, sopravanzata dai sovietici, a Montreal, Mosca, Seul.

Numeri impressionanti, che esplicitano il valore politico e ideologico annesso dalla Germania Est allo sport: il suo maggior veicolo di confronto e bilancio positivo nei riguardi dell’Ovest. Di quella Germania Federale, che ne costituiva il termine di paragone e contrasto più immediato nell’epoca che precede l’innalzamento del Muro (13 agosto 1961) e si conclude con il suo abbattimento (9 novembre 1989).

Se questo è il contorno in cui collocare la RDT grande potenza sportiva, è altresì indispensabile fissare una cronologia delle principali tappe che scandirono il percorso di emarginazione e poi di lenta integrazione da essa compiuto nel movimento sportivo mondiale. Una delle piste interpretative più convincenti e utili a enucleare la natura totalizzante della contrapposizione in blocchi. Tale cronistoria prende il la con la legge 8 febbraio 1950, che stabiliva la partecipazione della gioventù all’edificazione      socialista      della   RDT, promuovendone la crescita tramite l’istruzione, lo sport e la cura del tempo libero. Era il primo, fondamentale passo, nell’elaborazione del modello sportivo tedesco orientale. Allo sport veniva assegnato un autentico valore fondativo/costitutivo nella vita del Paese.

Di concerto, la RDT perseguiva la strada del riconoscimento sportivo nelle varie sedi internazionali. Così il 13 maggio 1950 i presidenti delle federazioni atletiche tedesche, dell’Ovest e dell’Est, si accordavano per ottenere una separata e non conflittuale affiliazione alla IAAF. Ma quest’ultima, il 23 agosto 1950, a Bruxelles accettava solo la richiesta della RFT.  Un chiaro segnale dell’atteggiamento diseguale che sarebbe stato a lungo mantenuto nei suoi riguardi.  Per vincere queste resistenze, il 22 aprile 1951 la RDT creò un proprio comitato olimpico che poté però entrare a pieno titolo nei ranghi del CIO a distanza d’un decennio.

Nella sessione CIO del 1952 a Helsinki la discussione fu a senso unico. Sigfrid Edstroem accusò la RDT di “rifiutare la cooperazione” con la RFT. Avery Brundage attaccò le “direttive dell’irresponsabile governo socialista”. Lord Michael Morris Killanin lamentò le “interferenze della politica”.  Ripresentata istanza d’ammissione nel 1954, questa fu respinta con 34 no e 23 si; e nel ’55, nella 51^ sessione di Parigi, venne recepita ma con un carattere di provvisorietà in vista di un’ipotetica riunificazione. L’attesa inflittagli era dettata dall’atteggiamento non imparziale del CIO sul tema delle due germanie. Una condotta che si riparava dietro il paravento, utilizzato con disinvoltura a seconda dei casi, dell’inammissibilità di due comitati olimpici espressione della medesima entità nazionale. Sta di fatto che – come si è visto – alle Olimpiadi di Helsinki furono presenti sia la RFT, il cui comitato era stato riconosciuto il 24 settembre 1949,  sia la Sarre.

Avery Brundage 1964

Ergo: nei soli riguardi della Germania orientale permaneva un pregiudizio del CIO che non poteva avere altre motivazioni se non politiche. Un filo-atlantismo di fondo difficilmente mascherabile. Ancora nel 1954 la domanda di ammissione della RDT alla IAAF venne respinta per il veto della RFT; e il CIO, nell’impossibilità ormai di tener ferma una posizione fortemente squilibrata e tesa unicamente a prender tempo, capitolò con i Giochi di Melbourne. In quel frangente, si addivenne a un compromesso allestendo una rappresentativa mista detta “Germania unificata”. Compromesso comunque al ribasso per la componente orientale, poiché nelle cerimonie olimpiche si ricorse a inno e bandiera della RFT e, sui 177 atleti tedeschi inviati in Australia, appena 36 erano della RDT.

Questo “status quo” fu conservato, con qualche indispensabile aggiustamento, anche ai Giochi di Roma e Tokio. Nell’Olimpiade italiana, sui 331 componenti della “Germania unificata” 194 provenivano dal settore occidentale e 137 dall’orientale. In quella giapponese i ruoli s’invertirono, con una presenza di 191 unità della RDT e 183 della RFT. L’inversione di tendenza avvenuta, preconizzava il prossimo inserimento non più generico e indeterminato nel consesso del CIO. Un ingresso preceduto dall’apertura di credito della IAAF.

Dopo le Olimpiadi, a Tokio la Federazione atletica tenne – dal 20 al 23 ottobre 1964 –  il suo 24° Congresso che, con 126 voti favorevoli e 96 contrari, ammise la RDT. A questo punto già 20 federazioni internazionali avevano riconosciuto la Germania Est, e il CIO, a Madrid nella 64^ sessione (3-9 ottobre 1965), non fece altro che dare il suo benestare a uno stato di cose in essere. Purtuttavia le procedure burocratiche non erano ancora esaurite. Occorse attendere la 68^ sessione a Città del Messico nell’ottobre 1968 per il riconoscimento integrale, in vigore dal 1° novembre di quell’anno. Ed unicamente alle Olimpiadi di Monaco di Baviera la RDT fu nelle condizioni di esibire i propri inno, vessillo, emblema.

Mentre si consumava questa infinita “anticamera”, i sabotaggi e i tentativi emarginanti si sprecarono. La lista, limitandoci alla prima metà degli anni ’60, quando più vicina era la definitiva integrazione, contempla semplici punzecchiature e azioni scopertamente ostili. Nel 1960 la Francia negò il permesso d’ingresso alle pallavoliste della RDT che non poterono partecipare al Torneo di Parigi e, nel 1961, sempre il governo francese, impedì che al Congresso della federazione ciclistica internazionale – ospitato nella sua capitale – intervenissero i delegati di Berlino Est. Il cross-country parigino del giornale comunista l’Humanitè venne precluso ai mezzofondisti della Germania democratica dal 1961 al 1964; e il 7 gennaio 1963 fu Willy Daume, presidente del comitato olimpico della RFT, a bloccare la costituzione di due squadre tedesche separate per i Giochi di Tokio. Si temeva che dal confronto diretto emergesse inequivocabilmente la supremazia della zona comunista. Da ultimo, solo un meccanismo estremamente complesso consentì la presenza della RDT alla prima Coppa Europa – ideata dall’italiano Bruno Zauli – di atletica leggera per nazioni. (continua)

Willi Daume

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