di Marco Giani

I lettori di La-CRO.S.S. conoscono già il volume pubblicato nel 1966 dalla casa editrice napoletana L’Arte Tipografica L’atletica femminile in Italia e nel mondo, ed hanno già avuto modo, grazie al pezzo su Gilda Jannacone[1], a quello sui destini dell’atletica leggera femminile in Basilicata nell’immediato Secondo Dopoguerra[2], e infine a quello sullo spauracchio della promiscuità nello sport di quegli anni[3], di apprezzare fino a che punto il libro curato da Salvatore Massara sia una vera e propria miniera per lo storico dello sport interessato ad usare quelle pagine come sorta di termometro delle opinioni ma anche delle semplici sensazioni di molti riguardo una serie di tematiche e di problematiche di quegli anni.

Sin dalla prefazione, firmata dallo scrittore napoletano Domenico Rea (n. 1921), ci imbattiamo nella prima problematica, quella del matrimonio: «Perché le donne in Italia considerano, o sono costrette a considerare, nei casi migliori, lo sport come un momento della giovinezza che poi sarà dimenticato e quasi tenuto nascosto come un’attività futile da cui una volta ci si lasciò prendere e incantare? È tipico il caso – l’ultimo – di Giuseppina Leone, medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Roma, finita sposa e madre e definitivamente perduta alla causa dello sport. In Olanda e in Inghilterra non sarebbe accaduto». Massara fa riferimento ad un caso che qualche anno prima dagli ambienti dell’atletica femminile italiana era finito sui rotocalchi: erano stati fatti dei veri e propri appelli pubblici al promesso sposo di Giuseppina Leone, affinché posticipasse le nozze dopo la conclusione delle Olimpiadi di Roma 1960[4]. L’autore poi continua, volgendo lo sguardo oltreoceano, ossia le terre da cui venivano la quattro staffettista che avevano vinto a Roma (Martha Hudson, Lucinda Williams, Barbara Jones e soprattutto Wilma Rudolph, medaglia d’oro anche nei 100m e 200m individuali): «Ma uno stesso destino è riservato, nella maggioranza dei casi, alle donne americane; ed è questo uno dei motivi per i quali l’atletica leggera in U.S.A.. è esercitata dalle ragazze negre, che, in un certo senso, hanno nel sangue danza e sport. La questione è quindi mondiale, ma in modo particolare lo stato di soggezione della donna verso lo sport trova le sue più decadenti forme nei Paesi latini in genere e in maniera precipua in Spagna e in Italia, e nell’Italia stessa tocca la punta estrema, come per tante altre cose, nel Sud. Intere, sterminate generazioni di ragazze, ieri come oggi, non hanno mai visitate una palestra, che dico, non hanno mai assistito a ciò che con diritto si potrebbe definire una “rappresentazione ginnica”. Durante il fascismo si vide qualcosa. Ma alla fine risultò un’imposizione, una delle tante, per così dire, malversazioni a cui bisognava sottostare. Ma sia le ragazze sia le loro famiglie non videro mai l’esercizio sportivo di buon occhio» (pp. 5-6). Una pagina interessante, dove nuovi elementi quali l’affermazione delle afroamericane all’interno delle nazionali statunitensi si affianca a fenomeni di lungo corso, o addirittura conclusi, come l’esperienza della sportivizzazione di massa femminile invano tentata dal regime fascista.

Nell’Introduzione del volume, è lo stesso Salvatore Massara a riportare i pregiudizi che lo hanno condotto a scrivere il libro, nel tentativo di smuovere le acque: «si sente dire con petulante voce che le donne che fanno atletica non sono belle, la pratica dello sport atletico non favorisce certo l’affermazione della loro femminilità». Nel rigettare subito tali pregiudizi Massara presenta prima di tutto esempi legati al successo extra-sportivo «nel mondo in cui viviamo, nel quale «troviamo ormai la donna in ogni campo dell’attività umana a collaborare e, se volete, a competere con l’uomo: dall’attività politica a quella scientifica, da quella culturale a quella imprenditoriale, e così di seguito». Aggiunge subito dopo che «l’elenco degli esempi di donne che dopo la pratica atletica sono state ottime madri di famiglia è troppo lungo perché lo si possa riportare» (p. 9). Più avanti, nel volume, Massara parla proprio di Giuseppina Leone, ricordando come dopo le Olimpiadi romane «”Giusi” fece un’altra apparizione, agli Assoluti del 1961 a Napoli, con la 4×100 della Fiat Torino (e c’era in squadra la Tizzoni, torinese come lei e che come lei, sposatasi dopo le Olimpiadi di Roma, aveva abbandonato lo sport attivo). Vederla galoppare col testimone in mano con quella sua classica e “scolastica” andatura fu una emozione grandissima per quanti l’avevano ammirata nelle sue giornate più felici» (p. 32). Meno riuscito, col senno di poi, l’esempio che l’autore tira fuori a p. 19, laddove usa proprio il matrimonio come prova inoppugnabile di una delle più grandi atlete degli anni Trenta, la polacca naturalizzata statunitense Stanisława Walasiewicz / Stella Walsh. Dopo aver accennato alle polemiche che amareggiarono la sua carriera con un «Non bella, angolosa, con spiccati caratteri mascolini, pare si radesse ogni giorno», Massara pensa di cavarsela facilmente, concludendo che «i due matrimoni contratti in USA dovrebbero fugare i dubbi fatti circolare circa l’esattezza … del suo sesso gentile» (p. 19). In realtà, ora sappiamo che le cose erano molto più complesse di così, visto che a quanto pare l’atleta possedeva caratteristiche genetiche sia maschili sia femminili, come scoperto dopo l’autopsia compiuta sul suo corpo nel 1980.

L’arretratezza dell’Italia sul tema della maternità fra le sportive è uno dei leitmotiv del volume, come possiamo capire leggendo i contributi degli altri autori. Alfonso Castelli, redattore capo di Atletica, scrive ad es. così:  «Noi vediamo all’estero centinaia di atlete di età relativamente avanzata, madri di famiglia con figli (chi non ricorda la famosa “Mammina volante” olandese?) che pure continuano la loro attività e tengono ancora banco. Nelle Nazionali straniere, spesso, una notevole aliquota di concorrenti porta la fede all’anulare destro. Da noi invece, in genere, il matrimonio segna la fine dell’attività sportiva. Elivia Ricci Ballotta e pochissime altre costituiscono una felice eccezione» (p. 47). L’esempio ormai un po’ invecchiato dell’olandese Fanny Blankers-Koen (vincitrice di 4 medaglie d’oro alle Olimpiadi di Londra 1948) si affianca a quello più recente della discobola azzurra Elivia Ricci Ballotta (proprio in quell’anno per l’ultima volta campionessa nazionale sia nel getto del peso che nel lancio del disco, rispettivamente per la quinta e nona volta[5]), citato anche in un passaggio del testo di Dante Merlo, direttore di Atletica Leggera:  «i risultati confermano che lo sport atletico, anche se svolto con applicazione ed intenti specialistici, non comporta pregiudizio alcuno alla grazia e alle funzioni materne delle nostre donne-atlete. Si pensi alla quattrocentista Armida Guzzetti, maritata Giumanini, madre prolifica. Ed ancora ad Elivia Ricci, che ha trovato modo di specializzarsi con il matrimonio, mercé l’assistenza del marito-allenatore Edmondo Ballotta, ed esprimersi con misure d’alto valore internazionale, senza nulla perdere della sua avvenenza muliebre» (p. 52). Colpisce, nel testo di Merlo, il ritornare identico anche nella forma di parole-chiave del discorso fascista sullo sport femminile quale grazia, funzione materna, avvenenza muliebre: un interessante esempio di come certe scorie facessero veramente fatica ad essere smaltite. Parte dall’esempio di Elivia Ricci anche Alfredo Berra, nell’articolo qui riproposto e già pubblicato una prima volta su Lo Sport Illustrato del 14 ottobre 1965 (pp. 65-67), per poi svolgere una più ampia riflessione su come la connessione fra matrimonio e fine della carriera atletica dipenda anche dal contesto sociale che circonda le sportive. Per dimostrare che «il matrimonio dunque giova alle atlete» Berra propone due esempi di coppie, ossia quella formata dai  cecoslovacchi Dana Zatopkova ed Emil Zatopek, e poi l’unione, nata alle Olimpiadi di Melbourne 1956, fra la discobola ceka Fikotova e il martellista americano Connolly. L’analisi della diversa sorte delle due coppie fa sentenziare a Berra che nei paesi del blocco sovietico, a differenza di quelli dell’Occidente filo-americano, c’è tutto un sistema sociale alle spalle che permette alle donne sposate e con figli di portare avanti la pratica sportiva.

Il tema del matrimonio è molto presente anche nelle didascalie delle numerose fotografie di cui è arricchito il volume. Fra le pp. 128-129 vediamo la coppia di scatti «Fanny Blankers-Koen ritratta […] nella quiete familiare con il marito ed i figli, e sulla pista di Londra nelle sue vittoriose galoppate delle Olimpiadi del 1948», seguita da una foto nuziale proveniente da Praga («Dopo le Olimpiadi di Melbourne la ceca Olga Fikotova e lo statunitense Harold Connoly si sposano. Testimoni d’eccezionale Dana Zatopkova ed il suo “favoloso” marito Emil Zatopek»), e da uno scatto ritraente «Olga e Harold in U.S.A. con l’erede». Il meccanismo iconografico del “prima … e dopo!” viene ripetuto poco dopo, fra le pp. 144-145: «Ann Packer conquista l’“oro di Tokyo” negli 800 metri. Poi sposa il “capitano coraggioso” Robbie Brightwell e nella foto la vediamo con l’erede». Didascalie che anche in questo caso richiamano quanto si era ampiamente visto sui giornali e le riviste durante il Ventennio fascista[6]. Ancora, fra le pp. 176-177 leggiamo «Grazia e femminilità della sposina Gilda Cacciavillani-Gnecchi a Torino in viaggio di nozze per una maglia tricolore», fra le pp. 192-193 «Danielle Gueneau e Christian Cadic, ragazze francesi che smentiscono certi luoghi comuni sulla mancanza di femminilità e di grazia delle atlete» , o «Alda Rossi, grazia e femminilità», e infine fra le pp. 208-209 «Elivia Ricci-Ballotta, primatista italiana del lancio del disco e del peso. In corsa per riscaldamento nella prima foto, col marito Edmondo Ballotta ritratta accanto alla bandierina del nuovo limite nazionale del disco (52,99 a S. Donato Milanese) […]».

E le dirette interessate? Per fortuna ad un certo punto L’atletica femminile in Italia e nel mondo dà voce ad una atleta, per quanto ritiratasi da qualche anno, ossia la lanciatrice azzurra Gabre Gabric. La zaratina si mostra dubbiosa circa la possibilità di mettere un limite anagrafico all’agonismo atletico femminile, come proposto da alcuni, perché «avrebbe sapore di coercizione di limitata libertà personale di azione. Se a una va di gareggiare a lungo e non entrano in causa ragioni di salute, ebbene, con quale diritto si può precluderle la via dell’agonismo? È un problema questo che non sta a me di risolvere, ma all’atleta stessa che deve con tutta coscienza sacrificare i propri desideri di fronte all’avanzata di astri sorgenti. Dire oggi a Elivia Ballotta Ricci “È ora di chiudere! …” sarebbe un voler rientrare nel buio pesto in una specialità alla quale proprio Elivia ha dato e sta dando lustro. La nostra discobola sta cogliendo i frutti di un lavoro aspro e lungo, che ha richiesto notevoli sacrifici; un lavoro reso facile dalla comprensione e dall’entusiasmo di un marito che ne cura personalmente la preparazione, impostandola sul piano “allenamento-divertimento”, che nulla ha a che vedere con le sedute bi-giornaliere spinte che in genere vengono svolte da atlete più evolute di altri paesi; sedute, che a mia opinione, sono logoranti e non sempre producenti in senso fisico. Concludo quindi che: la donna non deve assolutamente forzare oltre determinati limiti; se le sue qualità potenziali sono tali per cui le riuscirà di esprimerle senza alterare le caratteristiche somatiche negativamente … allora buon lavoro. Se invece dette caratteristiche sono soggette a negative trasformazioni conseguenti all’eccessiva pratica di preparazione all’agonismo spinto … ebbene, chiedo scusa, ma ritengo che sarà molto meglio rimanere in determinati limiti senza correre rischi. Dopotutto la pratica agonistica-sportiva passa, e la donna … resta» (pp. 49-50). Un’affermazione, quest’ultima, che forse potrà risultare un po’ demodé nell’Italia del 2023, e che pure rispecchia perfettamente la vicenda biografica di Gabre Gabric, che durante gli ultimi anni di carriera gareggiò mentre si prendeva cura delle due figlie, nate nel 1943 e nel 1944[7]. D’altra parte, è interessante notare, nella prima parte, la nettezza con la quale l’atleta, cresciuta sportivamente parlando durante il Ventennio, difende la decisione individuale della singola atleta circa la propria carriera, checché ne dicano gli altri: forse erano stati proprio quegli anni, vissuti da Gabre sulla cresta dell’onda (nonostante il deludente risultato personale alle Olimpiadi di Berlino, mentre le compagne andavano a conquistarsi un bel 4° posto nella staffetta 4x100m, e soprattutto Ondina Valla il famoso oro negli 80m ostacoli), a farle sperimentare un bel po’ di «coercizione di limitata libertà personale di azione». Nell’Italia repubblicana liberata dalla dittatura, si sperava di non vedere più certe pressioni, fossero questa volta non da parte di gerarchi, ma di medici, tecnici federali e giornalisti sportivi …

Fotografia di copertina: Fanny Blankers, nel frattempo diventata coach della Nazionale olandese, accompagna in Canada le giovani atlete Tilly van der Zwaard e

Gerda Kraan (1963).

Fonte:https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Fanny_Blankers-Koen?uselang=it .


[1] https://www.la-cross.org/l-unico-fiore-nel-deserto-atletico-del-sud-antonio-ghirelli-intervista-l-atleta-napoletana-gilda-jannaccone-1958/

[2] https://www.la-cross.org/dopo-la-gil-il-deserto-la-scomparsa-dellatletica-leggera-femminile-in-basilicata-1943-1965/

[3] https://www.la-cross.org/lalba-della-domenica-era-sempre-rosa/

[4] Sul caso, vd. il paragrafo «VIII. Ostacoli: la lista continua …», in Marco Giani, La difficile ripresa dello sport femminile in Italia (1945-1965), in Storia e problemi contemporanei, 91 (settembre-dicembre 2022), pp. 71-90, DOI: 10.3280/SPC2022-091005, https://francoangeli.it/riviste/articolo/74116.

[5] Per un inquadramento della sua carriera, vd. https://it.wikipedia.org/wiki/Elivia_Ricci .

[6] Per la doppia foto del 1934 ritraente la milanese  Maria “Ninì” Bordoni Baj nelle vesti d’atleta con la casacca dello Sport Club Italia, e poi in borghese coi due figli, vd. https://twitter.com/calciatrici1933/status/1110273096211226627 .

[7] Per una foto ritraente Gabre Gabric in pedana accanto alle figliolette Mariella e Lyana, vd. l’ultima immagine pubblicata all’interno di https://www.playingpasts.co.uk/articles/gender-and-sport/the-eternal-seconds-of-italian-womens-athleticsthe-history-of-gruppo-sportivo-la-filotecnica-milan-1935-1943/ .

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