di Raffaele Ciccarelli

È un maledetto inizio d’anno, il lugubre profilo della Nera Signora continua a imperversare, a mulinare la lunga falce che continua a mietere i vecchi campioni, quelli che sono stati gli idoli della nostra gioventù. L’ultimo a volare via è Andy Brehme, tedesco protagonista in Italia con la maglia dell’Inter e campione con la Nazionale. Brehme è stato un centrocampista cui la felice intuizione di Giovanni Trapattoni, quando questi militava all’Inter, di spostarlo sulla terza linea difensiva a sinistra, trasformò da ottimo giocatore in campione. Iniziata la carriera professionistica nel Saarbrucken, egli l’ha spesa principalmente nel Kaiserslautern, in due riprese, passando per il Bayern Monaco e le fondamentali stagioni nerazzurre, più una trascurabile presenza in Spagna, al Real Saragozza. Una carriera nei club vincente, considerando i titoli vinti con i bavaresi e i Diavoli Rossi della Renania, soprattutto quelli con i nerazzurri in Italia. Nel momento cruciale della sua parabola calcistica, nella stagione 1988/1989, infatti, Brehme fu tra i protagonisti della inarrestabile cavalcata nerazzurra alla conquista del tredicesimo scudetto, vinto a suon di record, concluso con cinquantotto punti in trentaquattro giornate (venivano assegnati due punti a vittoria), con un record di ventisei vittorie e due pareggi. Una carriera vincente, che in Nazionale divenne anche brillante, qui Brehme fu protagonista per circa un decennio, quello cruciale, per la sua nazione, del passaggio da Germania Ovest a Germania e basta, dopo la caduta del muro di Berlino, un passaggio epocale con la sua chioma bionda e fluente sempre protagonista in campo, ora al centro del campo, ora defilata sulla fascia. Era in campo, Brehme, con la Mannschaft quando questa conquistò la finale mondiale del 1986 in Messico, persa contro l’Argentina di Diego Armando Maradona, al suo primo e unico trionfo mondiale, secondo per l’Albiceleste; non solo in campo, ma anche protagonista dell’unico gol, trasformando un discusso calcio di rigore assegnato a pochi minuti dalla fine dal messicano Edgardo Codesal Mendez, quattro anni dopo a Roma, nella finale di Italia ’90, esatta replica della precedente contro l’Argentina di Maradona e del suo storico hijos de puta, urlato tra le lacrime al pubblico romano che fischiò il suo inno e lui per tutto il match; ancora in campo nella storica finale di Euro 1992 in Svezia, quando la favola della Danimarca si concretizzò proprio contro la Germania non più Ovest. Andreas Brehme, con la sua corsa caracollante ma non particolarmente veloce, con il suo bagaglio tecnico di centrocampista sopraffino ha, quindi attraversato un decennio epocale non solo per lo sport del calcio, ma proprio per la Storia in senso assoluto. Un campione, che il destino si è ripreso troppo presto.

Andreas Brehme

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