dal Seminario “SPORT E SOCIETA’” – Milano, USR per la Lombardia in collaborazione con l’associazione Alexandria (a.s. 2013-2014)

di Felice Fabrizio

“No, no…allora non vengo. Che dici, vengo? Ma si nota di più se vengo o se non vengo per niente? Vengo! Ci vediamo là. No, non mi va, non vengo. No, ciao, arrivederci”.

La ricordate? E’ una delle più celebri masturbazioni cerebrali di Michele, il nevrotico protagonista di “Ecce Bombo”.

Ma nemmeno i componenti della grande famiglia olimpica scherzano quanto a confusione di idee.

Per ottant’anni hanno fatto il diavolo a quattro per essere invitati alla festa quadriennale che sintetizza gli assetti di un ordine mondiale in continua trasformazione.

In qualità di anfitrioni fieri di sfoggiare potenza economica, capacità organizzativa, prestigio culturale.

Come convitati arrivati per la strada principale o per vie traverse, esibendo un biglietto di invito che, sulla base della concezione decoubertiana, non fa riferimento agli stati, ma ai comitati olimpici di nazioni prive di autonomia come la Boemia, l’Ungheria e la Finlandia del primo scorcio del XX secolo.

E che muso lungo mettono i reprobi messi in quarantena, in sfregio al mito della neutralità sportiva, in quanto appartenenti agli schieramenti sconfitti nelle due guerre mondiali, gli Imperi Centrali e le potenze dell’Asse. Una sorte alla quale l’Italia sfuggirà per un soffio grazie al giro di valzer che dall’ottobre del 1943 getta il Regno del Sud nelle braccia del blocco anglo – americano.

Quanto all’assente di maggior riguardo, l’Unione Sovietica, che si siederà a tavola solo nel 1952, la latitanza è il frutto di una scelta volontaria entusiasticamente sottoscritta dal      Comitato      Olimpico             Internazionale, preoccupato di mantenersi fuori da ogni genere di questioni spinose.

E l’ipotesi di un boicottaggio del paese ospitante, messa per la prima volta sul tappeto nel 1936, appare tanto remota che nei suoi statuti il C.I.O. non contempla provvedimenti sanzionatori nei confronti dei disertori.

Il nesso tra politica e Giochi Olimpici, vecchi compagni di merende, si rafforzerà dopo il 1945, quando ogni problema internazionale conclamato o incombente finirà per scaricarsi sul sistema sportivo, chiamato non solo a prenderne atto e a farsene carico, ma in qualche caso addirittura ad anticiparne la risoluzione.

E’ il caso della XXI Olimpiade assegnata per il 1976 al Canada, che porta alla ribalta in un sol colpo il fresco protagonismo africano e le vergogne dell’apartheid.

Il Continente Nero dagli anni Sessanta è interessato da un processo di decolonizzazione, pacifico o legato a sanguinose battaglie per l’indipendenza, che non sembra tuttavia sortire gli effetti sperati.

Montreal 1976

Gli stati hanno confini tracciati col righello senza tenere conto della compatibilità tra le diverse etnie. Sono costruzioni precarie, solo formalmente ispirate alle forme occidentali di governo democratico, esposte ai rischi di continui colpi di stato effettuati da militari e da feroci dittatori. I nazionalismi ed i conflitti prevalgono sulla ricerca di una comune identità panafricana. Il colonialismo economico affianca quello politico, trasformando il continente in teatro della Guerra Fredda, diviso tra incrollabili alleati del blocco occidentale, aree nelle quali, sul ritmo dello slogan “creare due, tre, molti Vietnam”, si aprono nuovi fronti di lotta finalizzati a logorare l’egemonia americana, l’Angola, il Mozambico, il Corno d’Africa.

Nell’Africa australe le élites bianche al potere si chiudono a riccio in difesa dei loro privilegi. La vittoria del partito afrikaner nelle elezioni del 1948 segna l’inizio delle politiche di segregazione razziale, fatte proprie nel 1964 dal governo rhodesiano guidato da Ian Smith, che l’anno successivo proclamerà unilateralmente l’indipendenza dalla Gran Bretagna.

L’apartheid, nei cui confronti nel 1962 l’O.N.U. ha adottato una risoluzione di severa condanna, fa il suo ingresso nel campo sportivo nel 1956, determinando la separazione invalicabile delle attività e dei praticanti, una situazione che indurrà il C.I.O. ad escludere il Sudafrica dai Giochi Olimpici del 1964 e del 1968 e ad espellerlo dal consesso olimpico nel 1968.

La Rhodesia, ammessa ai giochi del 1972, verrà precipitosamente esclusa dopo che i paesi africani hanno minacciato un unanime boicottaggio.

Il problema si ripropone con forza e sotto altra forma quattro anni più tardi.

Dal 1965 era attivo un Consiglio Superiore dello Sport Africano, presieduto da un politico dinamico e spregiudicato, il congolese Jean – Claude Ganga, ideatore dei Giochi Africani.

Il Consiglio chiede perentoriamente al C.I.O. di revocare l’invito a Montreal della Nuova Zelanda, colpevole di intrattenere attraverso il rugby relazioni sportive con il Sudafrica. Nel mirino vi è in particolare la tournée in Nuova Zelanda degli Springboks in coincidenza con la sanguinosa repressione della rivolta di Soweto.

Il C.I.O. si trincera dietro l’impossibilità di intervenire sulle scelte di federazioni non olimpiche, ma questo non basta a smorzare le proteste, sulle quali soffia la Cina Popolare, interessata a spezzare il duopolio U.S.A. – U.R.S.S. e a sua volta alle prese con l’annoso contenzioso con i nazionalisti di Taiwan, che si considerano l’unica legittima rappresentanza cinese nel movimento olimpico.

Il tempo stringe. Il tre luglio il Consiglio dello Sport Africano lancia il suo ultimatum: o il Canada revoca l’invito alla Nuova Zelanda o sarà boicottaggio.

Il 17 luglio le rappresentative africane sfilano nel corso della cerimonia inaugurale, ma in seguito al rifiuto del presidente del C.I.O. lord Killanin di incontrare Ganga, trenta delegazioni del Continente Nero rientrano in patria, seguite in segno di solidarietà da Iraq e Guyana. A difendere i colori africani rimarranno solo il Senegal e la Costa d’Avorio.

Questo primo ed unico boicottaggio “interruptus” priva il campo dei partecipanti di molti protagonisti annunciati, in particolare nell’atletica leggera e nel pugilato, discipline in cui a Tokyo e a Monaco i paesi africani, capeggiati dal Kenya, avevano ottenuto 28 medaglie, sette delle quali del metallo più prezioso.

Il capitolo successivo sembra aprirsi sotto migliori auspici. L’assegnazione a Mosca dei Giochi del 1980 ha per sfondo una situazione internazionale nella quale gli stadi più acuti della Guerra Fredda appaiono un lontano ricordo.

Iniziata nel biennio 1947/1948, scandita da tappe drammatiche, su tutte il conflitto in Corea e la crisi dei missili cubani, che hanno portato il mondo sull’orlo dell’apocalisse nucleare, la Guerra Fredda è una estenuante partita a Risiko giocata per difendere ed assicurarsi aree di influenza geopolitica.

Lo scontro tra i due blocchi, che chiama in causa gli apparati politico – militari, i sistemi economici, i modelli sociali, i valori culturali, trova riscontro dal 1952 anche nelle competizioni olimpiche, che acquistano un significato simbolico ed una rilevanza propagandistica di enorme portata.

Nelle sette edizioni che vanno dai Giochi di Helsinki a quelli di Montreal il medagliere fa registrare la superiorità complessiva degli atleti sovietici (683 medaglie contro le 602 americane), compensata dal perfetto equilibrio del numero delle medaglie d’oro, 260 a 260.

Partecipare è dunque fondamentale, sconfiggere l’odiato rivale un gaudio infinito. Perché si possa concepire una defezione occorre dunque che accada qualcosa di molto simile ad un cataclisma. Che si verifica puntuale.

Nel 1976 il democratico Jimmy Carter viene eletto presidente degli Stati Uniti. Sull’altra sponda a detenere il potere è Leonid Breznev, strenuo difensore del socialismo reale e fautore di un tardo imperialismo.

La loro partita si gioca in un’area solo apparentemente periferica, L’Afghanistan, in cui nel 1978 il controllo è stato assunto dal Partito Democratico del Popolo sostenuto da Mosca, tenacemente contrastato da un’opposizione armata di matrice islamica foraggiata dai servizi segreti americani.

Tra i dirigenti del Cremlino aleggia l’incubo della destabilizzazione delle repubbliche sovietiche a maggioranza musulmana.

La notte di natale del 1979, su pressante invito del Partito del Popolo, l’Armata Rossa invade in forze l’Afghanistan.

Per Carter, che sul fronte interno come sulla scena internazionale ha accumulato una serie di smacchi, arriva l’agognata occasione di mostrare i muscoli assumendo le vesti di ipocrita paladino del diritto alla libertà e alla autodeterminazione dei popoli.

Il quattro gennaio del 1980 il presidente U.S.A. annuncia che i recenti avvenimenti mettono fortemente a rischio la partecipazione della squadra americana ai Giochi di Mosca.

Su questa linea di intransigenza si attestano immediatamente l’Arabia Saudita, la Gran Bretagna della “Lady di ferro”, l’Australia, la Nuova Zelanda, l’Iran degli ayatollah, la Cina comunista, ai ferri corti con l’ingombrante vicino e in fase di disgelo grazie alla diplomazia del ping – pong con gli Americani, una Cina che non esita ad assimilare le Olimpiadi del 1980 alle nazi – Olimpiadi del 1936.

Il ritmo degli avvenimenti diviene convulso. Il governo americano, preso atto della netta opposizione del C.I.O. al trasferimento della sede a Montreal o a Monaco di Baviera, deposta l’idea di allestire a Colorado Springs una contro – olimpiade delle “nazioni libere”, presenta a Mosca la sua richiesta ultimativa: se le truppe sovietiche non abbandonano l’Afghanistan gli Stati Uniti e i suoi alleati diserteranno i giochi.

Manco una piega fa Leonid, manco un plissé. Scaduti i termini dell’aut – aut, il Congresso ed il Senato americani votano a schiacciante maggioranza il boicottaggio, approvato con un margine più risicato dall’assemblea dei delegati delle federazioni sportive a stelle e strisce.

Bocciata dal C.I.O. anche l’ultima possibile scappatoia, la partecipazione degli atleti a titolo personale, le autorità politiche e sportive dei paesi occidentali e del Terzo Mondo si trovano di fronte alla necessità di adottare una inequivocabile scelta di campo. (continua)

Mosca 1980

Foto da Wikipedia.org

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *