di Raffaele Ciccarelli
Ci sono giocatori che hanno carriere importanti, ma che restano impressi nella memoria collettiva grazie a un solo gesto, a una parata o a un gol, fugaci come un lampo e fragorosi come un tuono, ma giusto lo spazio di quei pochi secondi. È quanto capitato a Bernard Lacombe, cui bastarono pochissimi secondi per trasformare il nostro esordio ai mondiali argentini del 1978 in un incubo, per fortuna poi esorcizzato. Lacombe nacque a Lione, spese la sua carriera di centravanti iniziando qui, passando per il Saint Etienne e finendo al Bordeaux, nomi oggi oscurati dalla gloria e dall’egemonia del Paris St. Germain, ma che all’epoca rappresentavano il meglio del calcio transalpino. E solo il meglio poteva avere Bernard, perché egli era attaccante di razza, un fiuto per il gol che lo portò a realizzarne ben duecentocinquantacinquecon i tre club, che arricchirono la sua bacheca di tre Coppe di Francia, una con il Lione e due con il Bordeaux, e tre campionati francesi, tutti con i girondini. Tutto questo gli valse, naturalmente, le attenzioni della Nazionale, che all’epoca viveva una sorta di complesso di inferiorità, non avendo ancora arricchito il suo palmares di un solo trofeo, pur vantando un posto di primo piano sul proscenio europeo e mondiale in quanto a natalità di dirigenti illuminati. Il mondiale si sarebbe svolto in Argentina, e solo anni dopo si sarebbe avuta la consapevolezza di quella che all’epoca era solo una sensazione, e cioè che quella manifestazione doveva servire al regime dei Generali per nascondere i suoi orrori, le sue torture, le sue repressioni, i tanti scomparsi, rimasti ormai nel ricordo delle Madri della Plaza de Mayo, nell’eterno gioco dello sport come oppio del popolo, come mezzo fuorviante per nascondere le proprie malefatte. La squadra azzurra era allenata da Enzo Bearzot, lì avrebbe gettato le basi per la grande epopea del 1982, ma in quel momento quello era un futuro ancora non scritto, né preventivabile. L’Italia era reduce dal pessimo mondiale tedesco, era passata attraverso l’epurazione dei Messicani con un ringiovanimento della rosa gestito prima da Fulvio Bernardini con lo stesso Bearzot, poi solo da quest’ultimo, e si presentava nella terra delle Pampas con tante speranze, ma nulla più, e a rendere fosco il quadro fu proprio l’inizio della gara d’esordio, contro la Francia. Erano, infatti, trascorsi circa trentacinque secondi quando Didier Six si involò sulla fascia sinistra bruciando sullo scatto Claudio Gentile ed eludendo il raddoppio di Gaetano Scirea, il cross di sinistro disegnò una traiettoria perfetta, modificata di testa da Lacombe che, sovrastando Mauro Bellugi, si spense alle spalle di Dino Zoff. Un’azione bellissima, un gol repentino che addensò subito nuvoloni sugli azzurri, poi dissipati dalle reti di Paolo Rossi e Renato Zaccarelli. Anche quella nazionale francese si stava costruendo, intorno all’estro di Michel Platini e con ancora Lacombe in attacco, il primo titolo per i transalpini, prima delle glorie attuali, arrivò nel 1984, con la vittoria nell’Europeo casalingo, con mattatore assoluto Le Roi, ma con lo stesso Lacombe fedele scudiero. Fu il canto del cigno in Nazionale, poi, dopo altre tre stagioni, la chiusura di una carriera ricca di gol, entrato di diritto, con una rete dopo trentotto secondi, nel mito anche della Nazionale italiana.

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