di Sergio Giuntini

Quando un grande interprete dello sport ci lascia esistono molti modi di onorarne la memoria. Di certo – crediamo – Carlo Vittori, spentosi nella sua Ascoli Piceno il 24 dicembre 2015, avrebbe voluto si evitassero la retorica, l’enfasi di maniera, i “coccodrilli” preconfezionati e, al massimo, avrebbe accettato un breriano “Ti sia lieve la terra”. Dove quel lieve, sinonimo di leggera, faceva da sempre rima con atletica: la sua atletica leggera da lui vissuta, in ogni attimo della febbrile esistenza, con animosa e temperamentale verve.

Vittori – ascolano del 10 marzo 1931 – è stato buon velocista, con primati di 10”6 (1952) sui 100 e 21”6 (1953) sui 200, nonché campione d’Italia (correndo per la “Libertas” della sua città) dei 100 nel 1952 e 1953, ma il meglio di sé l’ha senz’altro espresso allenando.

Da tecnico duro e puro come pochi. Un allenatore tutto d’un pezzo, dal carattere difficile e polemico, mai incline ai compromessi, agli accomodamenti, societari o federali che fossero. Aveva una sua linea, una sua idea di atletica e velocità e da quelle non si derogava. Se un accostamento al calcio – sport col quale peraltro collaborò con alterne fortune – non appare troppo azzardato, lo si potrebbe definire un Arrigo Sacchi ante litteram.

Granitico nella sua coerenza ad un unico credo: lavoro e ancora lavoro, solo così si diventava più veloci e forti. Fu anche, e di ciò andava fiero, un professore di educazione fisica di quelli d’una volta: all’occorrenza rigido, severo, probo cultore della disciplina. Uno stile di vita da acquisire e conservare come via maestra da seguire in ogni dove e in qualsiasi frangente della propria esperienza, sportiva e non.

Se non ha inventato Pietro Mennea poco ci manca. E comunque l’uno sarebbe stato impossibile senza l’altro, e viceversa. Un binomio, spesso in “crisi di crescita”, che ha scritto le più grandi pagine della storia della velocità italiana d’ogni epoca. Record europei, del mondo e Olimpiadi vinte, faticando giorno dopo giorno a Formia. Il loro eremo “benedettino”.

Senza retorica, per onorarlo al meglio, vale allora forse ritornare al suo ultimo libro del 2014, una sorta di nobile “testamento” spirituale e atletico: Nervi e cuore saldi. L’allenamento del velocista nelle sue componenti motivazionali e biologiche (Calzetti & Mariucci, p. 126 p. Euro 24). Un titolo e un sottotitolo che dicono tutto del professore ascolano: un uomo dal cuore grande racchiuso in un fascio di nervi sempre pronti allo scatto.

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