di Raffaele Ciccarelli

Sono trascorsi trentatré anni prima che il Napoli abbia potuto festeggiare il suo terzo scudetto, tanta attesa è terminata in questa stagione 2022/2023, dove la squadra allenata da Luciano Spalletti, allestita da Cristiano Giuntoli, sotto la regia, è il caso di dirlo, di Aurelio De Laurentiis, ha chiuso il cerchio.

Per farlo la squadra si è dovuta ammantare di straordinarietà, come poi ha fatto la città man mano che la superiorità dei partenopei in campionato diventasse tangibile e sempre più ineguagliabile dalle altre, in partenza più accreditate, concorrenti, le due milanesi e la Juventus, a dire le tre squadre che hanno monopolizzato l’Albo d’Oro negli ultimi ventidue anni.

Mancano anche tre anni affinché la società festeggi il suo primo secolo di vita, da quando nell’ormai remoto 1926 l’Internapoli, già frutto della fusione di Naples FC e US Internazionale Napoli, cambiò la sua denominazione in AC Napoli, presidente Giorgio Ascarelli.

La nuova società, pur con alterne vicende, si annoverava tra le protagoniste del neonato Girone Unico (1929/1930), assurgendo anche alla ribalta non per le vittorie, il primo successo importante sarebbe stato la Coppa Italia del 1962, ma per l’istrionesca figura dei suoi presidenti, Achille Lauro in primis, e l’esuberanza dei suoi tifosi, passionali da sempre e che nel calcio hanno visto un’occasione di rivalsa contro l’egemonia dei potentati del Nord.

Napoli, con la sua caoticità, la sua cronica disorganizzazione, la sua arte di arrangiarsi che rende, guardando il lato positivo, unici per generosità i suoi abitanti, probabilmente non sarebbe mai riuscita ad agguantare quel primato, si doveva ammantare di straordinarietà e, dopo i tentativi similari ma più che altro “di facciata”, dell’ingaggio di Hasse Jeppson a metà anni Cinquanta, ‘O Banco ‘e Napule, e di Beppe Savoldi a metà dei Settanta, Mister Due Miliardi, questa straordinarietà si concretizzò nelle fattezze, imperfette ma che contenevano il genio assoluto, di Diego Armando Maradona.

L’argentino, arrivato come El Pibe, sarebbe andato via come D10s, lasciando in dote alla città due scudetti e una Coppa Uefa, una diffusa sensazione di riscatto sociale che lo stesso Maradona contribuiva ad alimentare.

Sembrava doversi aprire un ciclo, fu solo un breve, effimero momento di gloria, prima di un più lungo periodo di oblio.

Alle grandi vittorie, andato via Maradona, seguirono periodi bui, di fallimenti, di discesa addirittura in Serie C e fu lì, nel 2004, che raccolse i cocci Aurelio De Laurentiis.

Tutto si può dire di questo, anch’egli, istrionico personaggio, spesso sopra le righe, ma è incontestabile la sua capacità gestionale, e il merito di avere ricostruito un Napoli nuovamente vincente, che in questa magica annata ha coronato, per la terza volta, il sogno scudetto.

Per farlo, si è dovuta di nuovo vestire di straordinarietà, non sotto le spoglie di un singolo giocatore, ma nella somma delle ottime individualità di cui, grazie a Cristiano Giuntoli (il direttore sportivo) gli azzurri hanno saputo dotarsi, trasformati infine in un gruppo funzionale dal lavoro di Luciano Spalletti.

Non una sola straordinarietà, ma tante assommate insieme, sublimate in una squadra che ha saputo da subito imporre un gioco spettacolare ed efficace, facendo della continuità la propria forza, là dove venivano meno le attese, ma mancate, grandi protagoniste.

Da Alex Meret al capitano Giovanni Di Lorenzo, da Stanislav Lobotka a Victor Osimhen in stato di grazia, a questi si sono aggiunte le sorprese che sono andate a sostituire campioni quali Kalidou Koulibaly e Lorenzo Insigne, con quelli che poi si sono rivelati altrettanto validi sostituti, Kim Min-Jae in difesa e, soprattutto, il funambolico Khvicha Kvaratskhelia avanti, capace quest’ultimo, un po’ George Best, un po’ Gigi Meroni nello stesso corpo, di far innamorare con i suoi dribbling uno stadio che nel passato aveva adorato la funambolicità del più grande, e che ora porta il suo nome, “Stadio Maradona”.

Poesia pura che, unita alla potenza dell’attaccante nigeriano, sono diventati l’arma perfetta di Spalletti per andare a sbaragliare la concorrenza.

Solo nel finale di una stagione anomala, tagliata a metà per la lunga sosta dovuta ai mondiali invernali, si è avuto qualche rallentamento, più che altro causato dall’ansia per il traguardo che si avvicinava.

Quel traguardo che ora tutta Napoli, con le sue contraddizioni, il suo caos, la sua bellezza, la sua generosità, si può finalmente godere.

Luciano Spalletti (da Sportmediaset). In copertina foto Ansa

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