LO SPORT NEI TOTALITARISMI E LA SHOAH dal Seminario “SPORT E SOCIETA’” – Milano, USR per la Lombardia in collaborazione con l’associazione Alexandria (a.s. 2013-2014)

di Felice Fabrizio 

Per addentrarci in una realtà complessa come quella rappresentata dallo sport fascista dovremmo star qui a parlare fino a domani. E forse non basterebbe.

Ho scelto perciò di concentrare la relazione su un aspetto particolare che mi auguro possa suscitare il vostro interesse, le funzioni affidate dal regime all’educazione fisica scolastica ed extrascolastica ed il ruolo svolto dagli insegnanti e dagli istruttori.

Proverò a sintetizzare le tappe di attuazione, ad evidenziare ciò che questa componente strategica è in grado di dire sul sistema complessivo, a tracciare un bilancio dell’esperienza.

LE TAPPE

Nel campo scolastico l’Italia liberale lascia in eredità al fascismo una situazione ben poco esaltante.

Il 27% della popolazione è ancora analfabeta. Il 49% degli edifici è inadeguato. Le aule mancanti sono più di 32.000.

Ancora più disastrosa si rivela la situazione dell’educazione fisica.

Gli insegnanti usciti dagli istituti di magistero di Torino, Roma e Napoli sono meno di 500, sottopagati e frustrati.

Nella scala gerarchica e retributiva occupano saldamente l’ultimo gradino. Le loro valutazioni non influiscono sul giudizio finale e sono ammessi al collegio dei docenti solo su invito del preside. Hanno acquisito solo dal 1909 il diritto alla pensione e agli scatti di anzianità. Guadagnano meno dei paria della categoria, gli insegnanti di calligrafia. Tengono lezione negli orari rifiutati dai colleghi in ambienti fatiscenti e privi di attrezzature (più della metà delle scuole secondarie risulta sprovvista di palestra), sulla base di programmi e di metodi antiquati in cui si riflettono i contrasti tra le correnti conservatrici e le istanze di rinnovamento.

Fuori dalle pareti scolastiche solo le associazioni cattoliche e i reparti di scout si dedicano in modo attivo e continuativo all’educazione fisica dei giovani.

Il fascismo, impegnato prima a costruirsi come movimento, poi alla conquista del potere, si trova anche qui di fronte alla scelta tra la conservazione dell’esistente, la sua parziale modificazione, l’adozione di provvedimenti che sanciscano la rottura col passato.

A prevalere è inizialmente quest’ultima soluzione.

Nel quadro della riforma scolastica varata da Giovanni Gentile nel marzo del 1923 viene creato presso l’istituto polisportivo di Milano, situato alla Città degli Studi, l’Ente Nazionale per l’Educazione Fisica (ENEF), alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione.

Il decreto istitutivo prevede che gli alunni delle scuole secondarie svolgano le lezioni di educazione fisica sotto la guida degli istruttori delle società ginnastiche e sportive designate dall’ente negli impianti da esse messi a disposizione.

Alle attività inserite nell’orario scolastico in due pomeriggi o in una mattina e in un pomeriggio si aggiungono otto giorni all’anno destinati alle attività sportive e alle passeggiate ginnastiche.

Sull’ENEF si scatena un fuoco incrociato.

I pedagogisti rimproverano a Gentile la contraddizione tra l’allontanamento della ginnastica dalle scuole e una concezione al cui interno il soggetto è concepito come unità indivisibile di spirito e di corpo, destinataria di un processo educativo globale da attivare in un unico spazio, quello scolastico.

Gli insegnanti di ginnastica scendono sul sentiero di guerra. I tre istituti magistrali vengono chiusi, il ruolo statale è cancellato, i docenti con più di venti anni di anzianità sono collocati a riposo o trasferiti ad altri uffici, col risultato di falcidiare i 4/5 degli organici.

Protestano le famiglie, che per ottenere l’iscrizione dei figli all’ENEF, obbligatoria e certificata da uno speciale libretto trasmesso ai capi di istituto all’atto dello scrutinio, devono versare la non modica somma di trenta lire annue, con le quali l’ente provvede a corrispondere lo stipendio agli istruttori.

Le associazioni, dopo il tripudio iniziale, devono fare i conti, oltre che con la carenza di quadri tecnici e di strutture, con una situazione di lavoro che comporta la gestione da parte di ogni istruttore di allievi raggruppati per gruppi di età in squadre di 140 elementi.

La retromarcia è immediata. L’inattuabilità degli indirizzi tecnici e operativi, sottoposti a continue variazioni, comporta il ritorno alle palestre scolastiche e all’utilizzo del personale docente.

La breve parabola dell’ENEF, che nel frattempo si è trasferito a Roma ed ha istituito a Bologna una scuola superiore di educazione fisica, si esaurisce nel 1927.

Nel frattempo gli scenari politici sono in rapida evoluzione.

Assestatosi al potere, il fascismo procede a marce forzate alla costruzione dello stato totalitario.

Ogni forma di opposizione viene smantellata e tra il 1927 e il 1928 sono sciolte la federazione sportiva cattolica e le associazioni scoutistiche di matrice laica e religiosa.

Parallelamente prende corpo un complesso di iniziative che mirano a porre sotto il controllo del partito – stato ogni aspetto della vita civile tramite la promozione di organismi che inquadrano tutta la popolazione a seconda delle fasce di età e dei diversi bisogni sociali e culturali.

In questa prospettiva riveste un’importanza fondamentale il controllo delle giovani generazioni, non inquinate dalle esperienze maturate nell’Italia liberale, materiale incorrotto facilmente malleabile grazie ad un attento noviziato spirituale.

Per un regime che si autorappresenta come rivolta dei giovani contro i dinosauri della politica, che ha per capo il “princeps juventutis” e per inno “Giovinezza”, l’inserimento dei cittadini di domani nella vita nazionale è condizione irrinunciabile a garantire la sopravvivenza del fascismo ed il conseguimento dei suoi obiettivi, individuati nella creazione dell’”italiano nuovo” e delle legioni degli otto milioni di baionette.

Altrettanto irrinunciabili appaiono inoltre la selezione e l’uso di operatori culturali e di quadri tecnici di piena affidabilità, all’altezza della missione di orientare verso le nuove tavole dei valori le menti e i corpi.

Già, i corpi. Nella formazione del fascista integrale l’esercizio fisico acquista una centralità assoluta.

Nel 1926 sorge l’Opera Nazionale Balilla (ONB), che aggrega i ragazzi dagli otto ai quattordici anni. Ad essa dal 1927 compete l’insegnamento dell’educazione fisica nelle scuole secondarie, compito che nel 1928 viene esteso alle elementari.

Gli orientamenti programmatici sono contenuti in dodici manualetti elaborati dalla presidenza e distribuiti in migliaia di esemplari.

Nel 1928 sorge a Roma l’Istituto Superiore Fascista di Magistero per l’educazione ginnico – sportiva, divenuto in seguito Accademia, finalizzato a rafforzare le file degli insegnanti, sino al allora scelti tra gli ex – combattenti e i fascisti di provata fede.

Al 1929 risalgono il passaggio dell’ONB alle dipendenze del Ministero dell’Educazione Nazionale, che sostituisce quello della pubblica istruzione, l’apertura all’interno del ministero di un sottosegretariato per l’educazione fisica giovanile, l’assorbimento nell’ONB delle Piccole e delle Giovani Italiane fondate nel 1925 dai Fasci Femminili.

Nel 1930 alle organizzazioni già esistenti si aggiungono i Fasci Giovanili di Combattimento, aperti ai giovani dai 18 ai 21 anni e posti sotto il diretto controllo del Partito Nazionale Fascista.

Con il 1932 entra in funzione l’Accademia Femminile Fascista di Orvieto.

Nel 1934 viene emanata la legge sull’istruzione premilitare, che ha inizio appena il fanciullo è in grado di apprendere.

A conferma dello spostamento verso il basso dei confini della giovinezza sempre nel 1934 interviene l’istituzione dei Figli e delle Figlie della Lupa, che hanno per destinatari i bambini dai sei agli otto anni. E dal 1935, ad ogni lieto evento, i genitori ricevono dall’ONB un bilietto di felicitazioni contenente l’invito ad iscrivere il neonato alla grande schiera dei ragazzi di Mussolini.

Il 1937 è la data di costituzione della Gioventù Italiana del Littorio (GIL) che, alle dirette dipendenze di Achille Starace, che è anche segretario del Partito e presidente del CONI, inquadra la popolazione giovanile dai sei ai 21 anni, età prescritta per l’ingresso nel partito.

Dal 1937 la GIL ottiene il monopolio dell’istruzione premilitare, dal 1939 il controllo delle accademie di Roma e di Orvieto, dal 1941 la gestione di tutti gli insegnanti di educazione fisica.

Vorrei soffermarmi a questo punto sui due pilastri che il regime pone alla base del suo disegno politico, pedagogico e culturale: le organizzazioni giovanili e la scuola.

I PILASTRI

L’ONB e la GIL sono macchine organizzative molto complesse.

La struttura è piramidale e prevede una presidenza nazionale, comitati provinciali e comitati comunali.

I finanziamenti provengono da diverse fonti, a cominciare dalle quote annuali di tesseramento, passate nel tempo da due a cinque lire, e dai contributi statali, inizialmente piuttosto parchi, poi sempre più consistenti.

Gli iscritti sono suddivisi per età. Figli e Figlie della Lupa (6 – 8 anni). Balilla (8 – 10 anni), Balilla Moschettieri (11 – 12 anni), Piccole Italiane (8 – 14 anni). Avanguardisti (13 – 14 anni), Avanguardisti Moschettieri (15 – 17 anni), Giovani Italiane (15 – 17 anni). Giovani Fascisti e Giovani Fasciste (18 – 21 anni).

Nella solenne cerimonia annuale della Leva Fascista si celebra il rito di passaggio alle categorie superiori, che segna una crescita di status, di responsabilità e di competenze.

Lo imparerà sulla sua pelle il protagonista de “Il primo furto non si scorda mai” di Jannacci, che scambia per tacchino un’aquila reale perché, essendo ancora avanguardista, non conosceva i tacchini. Chi conosceva i tacchini era giovane fascista.

L’ordinamento, ispirato al modello militare dell’antica Roma, prevede squadre, manipoli, centurie, coorti, legioni e una complessa struttura gerarchica (caposquadra, capo manipolo, capo centuria, cadetto, primo cadetto). I graduati, 120.000 nel 1936, sono forgiati da corsi di formazione.

Le divise, obbligatorie durante le ore di ginnastica, i saggi, le competizioni, sono ricalcate per i ragazzi su quelle della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.

Le attività, che si sforzano di conciliare pensiero e azione, cultura ed esercizio fisico, libro e moschetto, prevedono il dispiegamento di simboli e di liturgie intese a creare un clima di mobilitazione permanente.

Il tesseramento rimane facoltativo sino al 1939. Ma la mancata affiliazione comporta rischi di isolamento e discriminazione e, oltre ad incidere sul voto di ginnastica e sulla erogazione delle borse di studio, ipoteca la carriera nel settore pubblico e la destinazione ai reparti militari.

Le cifre degli iscritti sono impressionanti: 5.499.267 nel 1936, 7.869.305 nel 1940.

Ma le organizzazioni giovanili sono ancora lontane dall’adempiere per intero il compito per cui sono state concepite, il controllo del tempo libero extrascolastico: le estati, punteggiate di colonie, campeggi, crociere; i pomeriggi, primo tra tutti quello prefestivo, dal 1935 occupato dalle iniziative previste dal sabato fascista; i giorni festivi consacrati alle competizioni sportive così da indurre il ministero a vietare agli insegnanti di prevedere interrogazioni al lunedì.

Sul terreno specifico dell’educazione fisica, presso ogni comitato provinciale e comunale è istituito un ufficio ginnico – sportivo incaricato di organizzare e dirigere l’insegnamento presso gli impianti messi a disposizione dalle scuole e dagli enti locali. Sono gli uffici a provvedere alla nomina degli insegnanti e degli istruttori, saliti dai 1.034 del 1926 ai 14.038 del 1936.

La precedenza nelle graduatorie è data ai diplomati delle accademie di Roma e di Orvieto e dell’Accademia Littoria creata nel 1936 e al personale uscito dai collegi della GIL e dai ranghi delle organizzazioni giovanili sulla base di corsi inseriti nei campi estivi.

Le accademie, strutturate su due anni obbligatori più un anno di specializzazione, dal 1939 diventati tre anni con relativa acquisizione del grado di facoltà universitaria, prevedono l’internato obbligatorio e il versamento di una onerosa retta annua ammontante a 5.000 lire.

La selezione in ingresso è rigidissima. Le autorità di polizia sono incaricate di svolgere indagini sulle famiglie dei candidati, cui si richiede l’iscrizione al PNF comprovata dal segretario del fascio. Dal 1938 diventa obbligatoria l’appartenenza alla razza ariana, a conferma di una deriva generale ribadita dalla nomina a rettore del professor Nicola Pende, tra gli estensori del Manifesto degli scienziati razzisti.

Il piano di studi prevede una formazione pedagogica e didattica, esercitazioni pratiche, una intensissima attività ginnico – sportiva che ha per cornice impianti moderni e funzionali, corsi di legislazione e di cultura fascista.

Agli accademisti è affidato inoltre l’incarico di tenere corsi di taglio politico e pedagogico per gli insegnanti delle scuole elementari.

Il diploma dà diritto all’immissione in ruolo presso le scuole e all’impiego in qualità di direttori degli uffici ginnico – sportivi e di istruttori nelle organizzazioni giovanili.

Nell’accademia di Orvieto il personale, a cominciare dalla comandante, è interamente femminile.

L’accademia è il mistico ghetto in cui si costruisce l’aristocrazia del comando, il laboratorio di sperimentazione dei modelli educativi da proporre alle giovani generazioni, dei prototipi dell’italiano nuovo animati da una fede incrollabile nelle grandi idee dell’Uomo che quotidianamente la ravviva con il suo genio romano.

In essa si plasmano ruoli e immagini che valorizzano l’autodisciplina, l’ordine simbolico e gestuale, l’abnegazione, il fisico scultoreo dell’uomo, la grazia coniugata alla salute nella donna.

L’attività scolastica ed extrascolastica fa capo a tre grandi aree.

L’insegnamento si concentra in due ore settimanali, alle quali si aggiunge una mezza giornata riservata alle esercitazioni all’aperto.

Nei programmi ispirati alle teorie di Giuseppe Monti e ancor più di Eugenio Ferrauto è evidente la rigida separazione tra ragazzi e ragazze in cui si rispecchia la concezione fascista delle identità sessuali.

A partire dalla terza elementare all’educazione fisica maschile è attribuito il compito precipuo di sviluppare lo spirito militare e di abilitare i giovani alla difesa nazionale. A trionfare sono gli allineamenti e gli esercizi ordinativi, sui quali nelle medie si innestano gli esercizi collettivi a corpo libero e agli attrezzi, i giochi che temprano romanamente le anime e i corpi, le esercitazioni con fucili di legno o con moschetti modello 91 in miniatura.

La palestra che abitua all’obbedienza, alla destrezza, alla forza, alla resistenza, è l’anticamera naturale della caserma. La fisicità, il volto abbronzato, il portamento marziale sono altrettanti sinonimi di virilità.

I programmi femminili si concentrano su giochi, allineamenti, esercizi di grazia, ginnastica medica, ritmica e collettiva.

L’obiettivo prioritario è al servizio di una volontà di potenza che postula il massimo incremento demografico. Totalmente subordinata all’uomo, cui solo spetta l’azione, la donna è chiamata a rafforzare il suo corpo così da poter offrire con fierezza alla patria figli sani e robusti, in ossequio al principio secondo cui la maternità sta alla donna come la guerra ll’uomo.

Il secondo filone si collega ai saggi ginnici, cari a tutti i regimi totalitari, immortalati in innumerevoli cinegiornali LUCE, posti a conclusione dell’anno scolastico e in corrispondenza con la celebrazione delle ricorrenze più significative del calendario fascista.

L’attività di massa esalta le manifestazioni espressive coreografiche al cui interno il corpo acquista un valore collettivo, simboleggia ordine e coesione, mette in scena uno spettacolo in grado di commuovere, esaltare, accomunare attori e pubblico.

L’apoteosi della robotizzazione è raggiunta in occasione della festa ginnico – nazionale del 1938, quando gli ordini impartiti al Foro Mussolini da Starace sono trasmessi via radio ed eseguiti simultaneamente in tutte le province e le colonie.

Gli aspetti più innovativi vanno ricercati nella promozione di una attività sportiva di massa che prevede leve atletiche, convegni e campionati provinciali e nazionali, i Ludi Juveniles, le prove eliminatorie e la fase finale del Concorso Dux a squadre per avanguardisti, che nel 1931 raggruppa a Roma 22.000 giovani alloggiati in 6.000 tende.

La Carta dello Sport emanata alla fine del 1928 per definire gli ambiti di competenza delle diverse organizzazioni del regime prevede che nessun giovane non affiliato all’ONB possa iscriversi a società sportive facenti capo al CONI, che dal canto suo provvede ad autorizzare ogni manifestazione sportiva giovanile.

Tra il mondo dello sport agonistico e le organizzazioni giovanili resteranno vive tuttavia una serie di malintesi e di tensioni. Si consideri, ad esempio, che le piscine costruite dall’ONB, per evitare di essere adibite ad eventi sportivi, hanno una lunghezza di 24 metri, uno in meno rispetto alla misura regolamentare.

LA PARTE E IL TUTTO

Quanto detto finora mette in evidenza due importanti caratteri specifici dello sport fascista.

Il primo è l’assenza di un’idea precostituita, la mancanza di un progetto organico e coerente.

In questo come in altri campi il fascismo, più che come sistema filosofico, si costituisce come prassi.

Quello che può sembrare un deficit di egemonia culturale che costringe a una navigazione a vista fatta di continui ritocchi finisce tuttavia per diventare una carta vincente.

La coesistenza di uomini e di riferimenti molto diversi per provenienza e tendenza si traduce infatti in una adattabilità alle modificazioni dei contesti e delle esigenze che privilegia a rotazione gli aspetti legati al momento storico e alle esigenze contingenti.

Il fascismo incorpora tanto le suggestioni provenienti dagli ambienti futuristi quanto le posizioni espresse in epoca liberale da settori conservatori e nazionalisti che nell’esercizio fisico vedono uno strumento di educazione patriottica e di addestramento militare.

Conserva l’edificio preesistente, facendo sorgere attorno ad esso nuove costruzioni incaricate di integrare le masse in uno stato identificato come nazione.

Comprende e promuove il valore dell’educazione fisica  soddisfando aspirazioni e desideri e cavalcando il malcontento e le frustrazioni di dirigenti, praticanti, giornalisti, insegnanti.

Il secondo carattere è il frutto delle peculiarità del fascismo italiano che hanno indotto gli storici a coniare la categoria del “totalitarismo imperfetto” in contrapposizione alla monoliticità del nazismo e dello stalinismo.

Basti pensare alla presenza ingombrante del movimento cattolico, che proseguirà le esperienze di attività motoria all’interno degli oratori e dei circoli giovanili e che non esiterà a far sentire la sua voce fortemente critica su molti aspetti del modello sportivo fascista.

Basti pensare alla difficile convivenza di centri di potere in varia misura interessati alle attività fisico – sportive, il partito, il ministero dell’educazione nazionale, le organizzazioni giovanili, la milizia, il CONI.

Basti pensare ai feroci contrasti che oppongono i più autorevoli esponenti del regime a proposito dei livelli, delle modalità, delle finalità delle pratiche, alla dicotomia mai pienamente risolta tra lo sport per tutti e lo sport – spettacolo degli stadi monumentali, dei campioni, delle vittorie assunte a testimonianza dell’impetuosa ascesa della nuova Italia.

Nel campo dell’educazione dei giovani, solo per fare un esempio, l’auspicata integrazione tra la scuola e le organizzazioni di massa non risulterà mai agli occhi del regime pienamente soddisfacente.

Il punto debole è senza ombra di dubbio la scuola, oggetto di una incessante azione di allineamento e di bonifica, rivelatrice dell’esistenza sotto la crosta della fascistizzazione di isole di resistenza al conformismi meno rare via via che si procede dagli ordini inferiori a quelli superiori.

Ne scaturisce la delineazione di due monti contigui, quello dell’istruzione dell’allievo e della classe e quello dell’indottrinamento del balilla e del reparto, che determinano esiti controproducenti o addirittura schizofrenici.

UN BILANCIO

Mi avvio alla conclusione.

Nel 1983 Giorgio Bocca ha sostenuto che lo sport “fascista” altro non è stato che uno sport di massa nato per combinazione assieme al fascismo, una conquista che qualunque forma di governo sarebbe stata in grado di realizzare, uno sviluppo naturale che fu solo rivestito della camicia nera.

E’ un’opinione che sul piano storico non mi sento di condividere.

E’ il fascismo ad innalzare le attività fisico – sportive a problema di stato inserito nel discorso nazionale, a trasformarle in fenomeno di massa.

E’ il fascismo che le accentra, le razionalizza, le potenzia, le finanzia.

E’ il fascismo ad estendere, capillarizzare, migliorare qualitativamente le pratiche.

E’ il fascismo ad inventare un meccanismo di interscambio tra il serbatoio dei praticanti di base e le esigenze dello sport di élite la cui efficacia è impossibile da valutare a causa della cesura introdotta dalla guerra.

E’ il fascismo che intraprende la costruzione degli impianti di base: nel 1937 i campi sportivi sono 2.568, 890 le case del balilla, trasformate in seguito in caserme GIL, 1.470 le palestre, 22 le piscine.

E’ il fascismo che conferisce all’educazione fisica e al suo insegnamento una centralità senza riscontri precedenti e successivi. Ve lo immaginate un diplomato dell’ISEF o un laureato di scienze motorie che va in televisione a prendere il posto di tronisti e di veline come ideale estetico o che sostituisce gli opinionisti come prototipo educativo?

E’ il fascismo che estende misure di igiene e profilassi, esperienze di mobilità e socializzazione, appuntamenti agonistici a ceti sociali e a contesti geografici sino ad allora esclusi. Si pensi che nel 1937 i partecipanti alle attività ginnico – sportive programmate dalla GIL sono 3.719.000.

Per la generazione del Littorio l’essere fascista coincide con l’essere coinvolti nelle iniziative delle organizzazioni giovanili, la cui forza di penetrazione supera i confini dell’esteriorità.

Nessuna meraviglia dunque se anche dopo la caduta del fascismo nella memoria individuale e collettiva l’appartenenza ad una comunità affettiva e la partecipazione ad un preciso tempo sociale abbiano colorato di nostalgia il tempo della giovinezza, relegando in secondo piano le illusioni perdute. Celebre rimane al proposito la polemica scatenatasi nel 1991 in seguito ad un’intervista in cui Alberto Sordi dichiarava di essere stato molto felice sotto il fascismo.

Questo non può tuttavia far passare sotto silenzio come anche nel settore delle attività fisiche il fascismo abbia riprodotto senza risolverli problemi storici di antica data.

Cito alla rinfusa la macchinosità burocratica, gli aspetti clientelari, le sacche di corruzione collegate alla costruzione degli impianti (il Foro Mussolini prosciuga le casse dell’ONB) e alle forniture delle divise, una sensazione generale di volonterosa improvvisazione che contrasta con la impeccabile e cupa grandiosità dei cerimoniali nazisti.

E non può soprattutto far dimenticare che, come tutti i patti col diavolo, anche questo esige un prezzo assai elevato da pagare.

L’asservimento a finalità in larga misura strumentali.

La mobilitazione in forme aggressive contro il nemico interno ed esterno sostenuta da una ideologia imperialista e razzista.

L’accentuazione dello spirito gregario e caporalesco che annulla la libertà di scelta e lo sviluppo autonomo delle capacità individuali.

Il dilagare del giovanilismo che trasforma gli italiani in un popolo bambino che crede alle favole di un capo unico depositario della verità.

L’alterazione del ruolo degli educatori, ridotti a zelanti servitori del regime. Nel 1940 agli insegnanti di ginnastica sono riconosciuti la parità con i colleghi delle altre discipline ed il diritto a partecipare a consigli, collegi, scrutini ed esami.

In cambio si esige che essi diano la massima risonanza alle iniziative delle organizzazioni giovanili, precedute da minuziose circolari ministeriali e attentamente monitorate dai dirigenti scolastici. Che si spendano nelle campagne di tesseramento degli allievi all’ONB e nella partecipazione alle sue attività, adempimento divenuto obbligatorio nel 1930, dal 1939 preso in considerazione nelle note informative personali e nelle qualifiche annuali, titolo indispensabile per gli avanzamenti di carriera.

I disastri bellici, i bombardamenti, l’occupazione tedesca, la guerra civile provvederanno a dissolvere i battaglioni del duce in un pulviscolo di vicende individuali.

C’è che, dopo aver creduto e obbedito, sceglie di combattere, andando a cercare la bella morte sui monti della Grecia, nel deserto libico, tra le file delle Brigate Nere.

Ma quando, nel giugno del 1943, nell’imminenza dello sbarco alleato in Sicilia, l’esercito chiede alla GIL di fornire elementi da adibire ai servizi ausiliari, a Milano si presentano 50 giovani, 32 a Roma, nessuno in metà delle altre province.

E il 25 luglio i moschettieri del duce, che avevano giurato di difendere col sangue il capo del fascismo, non muovono un dito per scongiurarne l’arresto.

Povera gioventù granitica! Nell’agosto del 1942 un rapporto di polizia segnale a Mussolini che al lido di Ostia sette ragazzini in divisa da Balilla, laceri e sporchi, sono stati visti chiedere l’elemosina ai bagnanti.

Poveri artefici dell’italiano nuovo!

La sera del 25 luglio la radio annuncia il crollo del regime. L’accademista orvietina Piera Menarini si rende conto con stupore di essere l’unica a piangere in mezzo a un popolo in festa. E si chiede se a non avere capito nulla sia stata proprio lei. E ci lascia come traccia per i compiti a casa questa riflessione: qualunque genere di coscrizione, anche se al momento piace, è sempre e comunque sbagliata.

Sport e Fascismo

BIBLIOGRAFIA

La summa dell’ideologia fascista è contenuta in: Lando Ferretti, Il libro dello sport, Roma – Milano, Libreria del Littorio, 1928.

Ferretti recupera in chiave celebrativa le realizzazioni del regime in campo sportivo in: Lo sport, Roma, L’Arnia, 1949.

Una rivisitazione nostalgica è contenuta in: Renato Biandi, Giuseppe Leone, Gianni Rossi, Adolfo Russo, Atleti in camicia nera. Lo sport nell’Italia di Mussolini, Roma, Volpe, 1983.

Sulla figura di Lando Ferretti si veda: Andrea Bacci, Lo sport nella propaganda fascista, Torino, Bradipolibri, 2002.

Sulla politica sportiva del regime: Felice Fabrizio, Sport e fascismo. La politica sportiva del regime 1924 – 1936, Rimini – Firenze, Guaraldi, 1976; Simon Martin, Calcio e fascismo. Lo sport nazionale sotto Mussolini, Milano, Mondadori, 2004; Maria Canella, Sergio Giuntini (a cura di), Sport e fascismo, Milano, Franco Angeli, 2009.

Sulla formazione degli insegnanti: Lucia Motti, Marilena Rossi Caponeri, Accademiste a

Orvieto. Donne ed educazione fisica nell’Italia fascista 1932 – 1943, Perugia, Quattroemme, 1996; Alessio Ponzio, La palestra del Littorio: l’Accademia della

Farnesina. Un’esperienza di pedagogia totalitaria nell’Italia fascista, Milano, Franco Angeli, 2009.

Per una introduzione alla storia sociale del fascismo ricca di spunti bibliografici: Patrizia Dogliani, Il fascismo degli italiani, Torino, UTET, 2008.

Sulle organizzazioni giovanili: Carmen Betti, L’ONB e l’educazione fascista, Firenze, La Nuova Italia, 1984; Tracy Koon, Believe Obey Fight. Political socialization of youth in fascist Italy 1922 – 1943, Chapell Hill – London, University of North Carolina Press, 1985; Antonio Gibelli, Il popolo bambino. Infanzia e nazione dalla Grande Guerra a Salò, Torino, Einaudi, 2005.

Sull’Opera Nazionale Dopolavoro: Victoria De Grazia, Consenso e cultura di massa nell’Italia fascista, Roma – Bari, Laterza, 1981.  

Foto: da Wikipedia.org  Fascismo e Sport, Ondina Valla 1936

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