di Sergio Giuntini

La storia del giornalismo sportivo italiano è fatta da molte figure – da Emilio Colombo a Bruno Roghi, da Gino Palumbo ad Antonio Ghirelli, da Gianni Clerici a Gianni Mura, ecc. – di grande spessore, nessuna però ha lasciato un segno così profondo come Gianni Brera.

Il vero “principe” della nostra stampa sportiva: un nome che continua a porsi come modello unico ed inimitabile. Brera è stato sempre accostato pressoché esclusivamente al calcio. Lo si è ritenuto il suo massimo cantore e interprete, da inventore della nota teoria difensivistica nota come “calcio all’italiana” e riassunta nella formula da lui coniata “catenaccio e contropiede”. Ma in realtà la scrittura sportiva di Brera ha spaziato a 360°, dando il meglio di sé anche riguardo a ciclismo, boxe e atletica leggera. E tant’è il suo primo articolo apparso su  La Gazzetta dello Sport, il 18 agosto 1945, s’intitolava emblematicamente “Atletica e dinamismo storico”.

Proprio per occuparsi di atletica leggera lo volle infatti con sé alla “rosea” il direttore Roghi, chiamato a rilanciarla al termine del secondo conflitto mondiale. Creatore di una lingua tutta sua, a Brera dobbiamo molte “voci idiomatiche” entrate nel parlato comune. Tra queste una delle più note è senz’altro “abatino”. Un termine che Brera non ha utilizzato solo in relazione a Gianni Rivera, ma che al contrario ha utilizzato per diversi altri interpreti dello sport italiano. La prima volta che vi ricorse fu su La Gazzetta dello Sport del 18 maggio 1952 a proposito del ciclista Giorgio Albani vincitore d’una tappa del Giro d’Italia: <<L’abatino del ciclismo italiano, il ragazzo serio e diligente, al quale tutti si confidano sicuri>>.

La seconda occasione in cui ne fece uso fu su Il Giorno, il 4 settembre 1960, rispetto alla vittoria sui 200 m. di Livio Berruti alle Olimpiadi di Roma: <<Furono venti secondi così tormentosi da stupirmi ancora adesso di averli potuti superare […]. Tutto il fior fiore dello sprint battuto in breccia da un ragazzino italiano di 21 anni, un abatino settecentesco con l’erre arrotata, un farmacista…ah, per Dio>>. Infine, sempre su Il Giorno, solo il 18 novembre 1963 Rivera diverrà il celeberrimo “abatino” breriano: <<Qualcuno esagera nell’esaltare lo stile di Rivera: presto dovrò chiamarlo abatino>>. Rivera non si riconobbe mai in questo appellativo, Berruti, da vero “uomo di mondo”, non se ne curò. In fondo, al grande Brera, si poteva concedere questo e altro

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