dal Seminario “SPORT E SOCIETA’” – Milano, USR per la Lombardia in collaborazione con l’associazione Alexandria (a.s. 2013-2014)

di Sergio Giuntini                                  

Due equazioni: 

“sport” (ossia quasi esclusivamente ginnastica e tiro a segno) = patria,  “sport” = educazione para-militare percorrono il  nostro Risorgimento. 

É un filo rosso, tra il 1821 e il 1870, sembra tener uniti liberal-moderati e repubblicani, cavouriani, garibaldini, mazziniani, Destra e Sinistra storica. Si pensi a Garibaldi grande propagandista del tiro a segno, a Quintino Sella fondatore del Club Alpino Italiano (1863), alle società ginnastiche fucine dell’irredentismo patriottico a Trieste, Trento, ecc. Ma che cosa giustifica la piega militaresca assunta dallo “sport” italiano delle origini? Da un lato vi è la situazione storica complessiva del XIX secolo che, per rispondere alle nuove necessità militari imposte dal nazionalismo e dalla competizione capitalistica/colonialistica tra gli stati, crea in sostituzione delle precedenti milizie mercenarie gli eserciti stanziali di massa. Eserciti cui occorreva dare un’istruzione fisica generalizzata e funzionale al miglior rendimento bellico. Non a caso la stessa Prussia, che diverrà lo stato più militarizzato d’Europa, proprio nel 1812 attuò una profonda riforma militare introducendo la coscrizione obbligatoria. Dall’altro, maggiormente connesso alla realtà italiana, questa curvatura para-militare è ascrivibile alla cosiddetta “conquista regia”: cioè ai caratteri peculiari del nostro processo d’unificazione nazionale e alla egemonia diplomatico-politica esercitata dal partito moderato di Cavour. Con il Risorgimento e l’Italia unita si ha in altri termini la consacrazione del modello di educazione fisica elaborato nel periodo pre-unitario dal Piemonte sabaudo. E dunque, anche a proposito di “sport” dei primordi, si può parlare di “piemontesizzazione dall’alto”, di un’estensione al resto d’Italia di quell’impronta etico-militarista che le attività ginnastiche avevano assunto già dal 1833 nella nostra “piccola Prussia”. A percepire tale fenomeno è interessante soffermarsi rapidamente su una delle principali ristrutturazioni subite dall’esercito italiano dopo l’Unità. Si allude alla riforma voluta dal ministro della Guerra Cesare Ricotti Magnani nel 1873, a seguito delle pessime prove offerte dalle nostre truppe nella guerra contro l’Austria del 1866. Il nuovo esercito veniva così ridisegnato: 1) adozione del sistema prussiano che, al momento della mobilitazione generale, avrebbe dovuto completare i reparti, con il richiamo dei “riservisti”; 2) ferma “breve” generalizzata portata da 5 a 3 anni, ma supportata dalla possibilità di un anno di volontariato; 3) reclutamento su scala nazionale.

Nelle opinioni delle più intransigenti lobbies militariste questo meccanismo determinava: A) una preoccupante riduzione della ferma, inidonea ad assicurare una adeguata istruzione militare; B) con la creazione dei “riservisti” un’estensione sostanziale del periodo nel quale il cittadino già congedato era tenuto a tenersi pronto per la difesa della patria.

Per ovviare a simili obiezioni occorreva dunque creare una sorta di “sistema integrato”, pubblico e privato, che iniziasse i giovani  alle pratiche marziali prima della chiamata alle armi e in seguito sapesse conservare alle attitudini militari i “riservisti”. Un problema di difficile risoluzione che, dagli anni ’70 dell’Ottocento alla Grande Guerra, porterà alla creazione di un circolo virtuoso nel quale interagivano organicamente scuola, associazionismo ginnastico ed esercito. Le tre  componenti in cui anche Léon Gambetta, primo ministro dal 14 novembre 1881 al 26 gennaio 1882, credeva per una rinascita della Francia traumatizzata dalla sconfitta con la Prussia nel 1870. Per spronare il Paese egli teorizzava infatti “L’unione del maestro, del ginnasta, del militare”. Operativamente il giovane Regno italiano procedette lungo due direttrici parallele: portando l’addestramento premilitare all’interno delle scuole sotto le mentite spoglie di ginnastica educativa, così da cercar di soddisfare il punto A di cui sopra; sostenendo l’associazionismo ginnico (una Federazione Ginnastica Italiana sorse a Venezia il 17 marzo 1869) e tirosegnistico (la prima grande gara di Tiro a Segno Nazionale si tenne a Torino nel 1863), necessario a garantire il conseguimento del punto B. Ciò secondo una logica dei “vasi comunicanti” avente lo scopo di travasare il tutto nel bacino delle forze armate. La scuola, le società ginniche e di tiro a segno, l’esercito, divennero perciò nell’epoca di Vittorio Emanuele II e Umberto I, all’acme della filosofia positivista (che lascerà molti segni anche nell’ambito dell’educazione fisica) dallo psichiatra Giuseppe Tonino (“La ginnastica e i pazzi”, 1871) al fisiologo Angelo Mosso (“La riforma della ginnastica”, 1892), dallo scrittore Edmondo De Amicis (“Amore e ginnastica”, 1892) all’antropologo Cesare Lombroso (“Il ciclismo nel delitto”, 1900) – per inciso tutti nati od operanti a Torino, la capitale storica dello sport italiano) e ancora all’alba del nuovo secolo, con l’aprirsi della stagione giolittiana, un osservatorio privilegiato tramite cui saggiare gli sforzi compiuti dalla penisola unificata per darsi un’identità di nazione. E’ in questo preciso contesto che va pertanto collocata la famosa Legge Francesco De Sanctis del 7 luglio 1878 sull’obbligatorietà della ginnastica educativa nelle scuole italiane. Legge Ricotti Magnani del ’73 e De Sanctis del ’78 non possono, insomma, esser disgiunte, ed  è pure evidente come la seconda contribuisca grandemente alla piena attuazione della prima. 

Assunto ciò, come si notava in precedenza, notevole fu l’importanza che numerosi protagonisti dell’epopea risorgimentale attribuirono alla  “corporeità” (tra gli altri ci si è già imbattuti in Giacomo Leopardi) come strumento per il raggiungimento dell’indipendenza dalle potenze estere e mezzo per rinsaldare i valori morali e ideali. In proposito ci limitiamo a fornire qualche esempio rappresentativo.

  • Silvio Pellico – il patriota che fra il 1822 e il 1832 fu detenuto dagli austriaci nel carcere duro dello Spielberg – sulla rivista il “Conciliatore” del 1° agosto 1819, nell’articolo “Degli esercizi ginnastici e degli effetti che producono”, tesseva un elogio della boxe inglese lasciando intendere come solo dei corpi allenati e dalla forte fibra avrebbero potuto riscattare e liberare la patria schiava degli stranieri: “Ciò che più riesce d’un vantaggio innegabile in simili esercizi di forza e di coraggio si è che alimentano nell’uomo un dignitoso sentimento di sé stesso: sentimento che non è mai abbastanza generale nella società, giacchè, dovunque esso manca, il debole innocente è vittima del provocatore malvagio, e il disonore di un pusillanime si rovescia spesso benché ingiustamente sulla patria a cui appartiene”.
  • Nelle “Memorie di Giuseppe Garibaldi scritte da Alessandro Dumas” e pubblicate a Livorno dall’editore Santi Seraglini nel 1860, si può leggere: “Mio padre non mi fece imparare né la ginnastica, né il maneggio d’armi e nemmeno l’equitazione. Imparai la ginnastica arrampicandomi fino alle sartie e lasciandomi quindi sdrucciolare lungo i cordoni del bastimento; la scherma, l’appresi difendendo la mia testa e procurando di colpire quella degli altri, e l’equitazione nel prendere esempio dai primi cavalieri del mondo, vale a dire dai più sgraziati.

Il solo esercizio corporale della mia gioventù, e nemmeno per questo mi abbisognavano maestri, fu il nuotare. Quando e come io imparassi a nuotare non me ne sovvengo affatto, mi sembra di avere sempre conosciuto questo esercizio, come se io fossi nato anfibio […]. D’altronde poi, se mio padre non mi fece imparare tutti questi esercizi, avvenne piuttosto per colpa dei tempi che altro. A quella triste epoca, i preti erano i padroni assoluti del Piemonte; ed i loro continui sforzi, il loro continuo lavorio portava a formare della gioventù, dei frati inutili e poltroni piuttosto che dei cittadini adatti a servire il nostro disgraziato Paese”.

  • Carlo Pisacane, in “Saggi storici-politici-militari sull’Italia” pubblicati postumi a Milano tra il 1858 e il 1860, sosteneva quanto segue: ”L’armeggiare, le ginnastiche sono tutte cose utilissime […]. Ma questi ludi, per produrre un tale effetto dovrebbero far parte dell’educazione nazionale a cominciare dall’infanzia […]. Nondimeno, per ciò che concerne l’educazione fisica, con pochissima predisposizione si possono ottenere grandi risultati cominciando dall’infanzia, imperrochè gli organi, essendo tenerissimi, si prestano facilmente ad ogni genere d’esercitazioni […]. Nei ginnasi comunali, oltre le ginnastiche e la scherma alle varie armi, a cui debbono per obbligo addestrarsi i giovani dai 7 ai 15 anni, vi sarà eziandio il tiro al bersaglio”. 

ALCUNI DATI QUANTITATIVI SU SOCIETA’ E MOVIMENTO SPORTIVO IN ITALIA DAL 1861 ALLA GRANDE GUERRA: UNA “QUESTIONE MERIDIONALE” ANCHE NELLO SPORT?

1. IL PAESE REALE

1861 POPOLAZIONE: 26 milioni di abitanti

1861 COMUNI: 7720

1861 DENSITA’ per Kmq.: 87 abitanti

1861 MEDIA COMPONENTI FAMIGLIA: 4,7 persone

1861 PRODOTTO INTERNO LORDO: 50% prodotto da regioni centro-nord, 50% da regioni del sud

1861 POPOLAZIONE ATTIVA DELLE REGIONI DEL CENTRO NORD IMPIEGATA NELL’INDUSTRIA: 15,5% pari a 1.560.000 unità

1861 POPOLAZIONE ATTIVA DELLE REGIONI DEL SUD IMPIEGATA

NELL’INDUSTRIA:  22,8% pari a 1.200.000 unità

1861 OCCUPATI NEI DIVERSI SETTORI ECONOMICI: agricoltura 70%, industria 18%, altre attività 12%

1861 MERCATI DI SBOCCO DEI PRODOTTI ITALIANI: Europa 86%, Americhe

10,4%, Africa 2,1%, Asia 1,2%

1863 MORTALITA’ INFANTILE: 232 nascituri su 1000 nati vivi

1871 ANALFABETISMO: 70%

1881 SPERANZA DI VITA: uomini 35,2 anni, donne 35,7 anni

1881 SEPARAZIONI MATRIMONIALI: 717

  • PROGRESSIONE NEL NUMERO DELLE SOCIETA’ GINNASTICHE NELL’ITALIA UNITA

1880: 87 (11.871 iscritti)

1881: 102 (16.002)

1882: 113 (15.509)

1890: 70 (8328 iscritti)

1895: 93 

1900: 104

1905: 151

1910: 195 

  • DISTRIBUZIONE REGIONALE DELLE SOCIETA’ AFFILIATE AL TIRO A SEGNO NAZIONALE NEL 1885

Totale: 576

Lombardia 107 (18,5%); Veneto 59 (10,2%); Piemonte 59 (10,2%); EmiliaRomagna 52 (9,0%); Toscana 49 (8,5%); Sicilia 42 (7,3%); Marche 41 (7,1%); Lazio 41 (7,1%); Umbria 30 (5,2%); Puglia 25 (4,3%); Calabria 15 (2,6%); Campania 13 (2,2%); Abruzzo 12 (2,1%); Liguria 10 (1,7%); Friuli 9 (1,5%); Basilicata 6 (1,0%); Molise 4 (0,6%); Sardegna 2 (0,3%). 

  • DISTRIBUZIONE               REGIONALE        DELLE              SOCIETA’             AFFILIATE           ALLA FEDERAZIONE GINNASTICA NAZIONALE ITALIANA NEL 1901 

Totale 112, iscritti  13.475

Lombardia 29 (25,9%); Veneto 17 (15,2%); Liguria 16 (14,3%); Toscana 13 (11,6%); Lazio 11 (10,0%); Emilia-Romagna 8 (7,1%); Piemonte 5 (4,4%);

Umbria 3 (2,7%); Campania 2 (1,7%); Marche 2 (1,7%); Friuli 1 (0,9%); Istria  (Parenzo) 1 (0,9%); Tunisia (Tunisi) 1 (0,9%); Abruzzo 1 (0,9%); Puglia 1 (0,9%); Sicilia 1 (0,9%).

Riepilogo per grandi aree regionali: Nord 69,8%; Centro 26,9%; Sud 2,5%; altri 1,8%.

  • DISTRIBUZIONE REGIONALE DEI CLUB CALCISTICI AFFILIATI ALLA FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO NEL 1909 Totale: 54

Lombardia 18 (33,3%); Piemonte 12 (22,2%); Toscana 6 (11,1%); Campania 5 (9,2%); Veneto 5 (9,2%); Liguria 3 (5,5%); Lazio 3 (5,5%); Puglia 1 (3,7%).

Riepilogo per grandi aree regionali: Nord 70,5%; Centro 16,6%; Sud 12,9%.

  • DISTRIBUZIONE REGIONALE DELLE SOCIETA’ DI ATLETICA LEGGERA AFFILIATE ALLA FEDERAZIONE ITALIANA SPORTS ATLETICI NEL 1913 Totale: 85

Lombardia 42 (49,4%); Piemonte 11 (12,9%); Lazio 9 (10,6%); EmiliaRomagna 8 (9,4%); Veneto 5 (5,9%); Liguria 4 (4,7%); Toscana 4 (4,7%); Umbria 1 (1,2%); Marche 1 (1,2%).

Riepilogo per grandi aree regionali: Nord 82,3%; Centro 17,7%; Sud 0%.

  • DISTRIBUZIONE PER GRANDI AREE REGIONALI DELLE SOCIETA’ CICLISTICHE AFFILIATE ALL’UNIONE VELOCIPEDISTICA ITALIANA NEL 1914 Totale: 555

Riepilogo per grandi aree regionali: Nord 443 (79%); Centro 98 (17%); Sud 23 (4,0%)

GREGORIO DRAGHICCHIO: L’IRREDENTISTA PRIMO “SOCIOLOGO” DELLO SPORT ITALIANO

Gregorio Draghicchio nasce a Parenzo, in Istria, il 5 febbraio 1851. Acceso irredentista (parente di Giacomo e Giuseppe Draghicchio, patriota nella insurrezione veneziana del 1848 il primo, garibaldino con Ricciotti Garibaldi il secondo), egli come Emilio Baumann, Costantino Reyer, Pietro Gallo, ecc. della ginnastica fece la sua missione di vita. E in questo senso incarna perfettamente quella categoria dei “ginnasiarchi” del XIX secolo cui si fa frequente riferimento.  Allievo di Michelangelo Rustia e Giovanni Cibron, abilitato in ginnastica a Graz (1875), il 13 agosto 1869 Draghicchio aprì un corso privato di ginnastica nella sua città natale. Trasferitosi a Trieste, l’8 novembre 1873 il municipio giuliano gli conferì la docenza nella scuola comunale di ginnastica, e l’Associazione Triestina di Ginnastica, avendolo assunto quale assistente di Rustia, il 1° gennaio 1875 lo investì della direzione del proprio organo periodico: il “Mente sana in corpo sano”. Su queste colonne Draghicchio fornirà le prime prove delle sue profonde doti di maestro, cultore e storico della ginnastica italiana ed estera. Da irredento anti-austriaco svolse una intensa attività politica venendo coinvolto nel giro di vite repressivo conseguente all’attentato imputato a Guglielmo Oberdan (1882). E in precedenza era stato accusato dagli austriaci d’aver sospeso una riunione ginnastica in segno di lutto per la morte di Giuseppe Garibaldi, nonchè d’utilizzare il foglio “Il ginnasta triestino” per raccogliere fondi a favore della causa irredentistica. Per questi reati scontò una pena in carcere dal 15 settembre 1882 al 29 giugno 1883. Nella sua ricchissima biografia, che in seguito lo vedrà alla direzione tecnica della società ginnastica “Pro Patria” di Milano, un aspetto meno noto è quello relativo al suo interesse per la statistica. Un dato che ne fa il primo “sociologo” dello sport italiano. A lui infatti dobbiamo, nel 1880, 1881 e 1882, tre accurate raccolte statistiche sul nostro movimento ginnastico. Lavori che, da un punto di vista sia quantitativo che qualitativo, consentono di cogliere alcuni dei caratteri originali del nostro fenomeno sportivo nell’Italia dell’Ottocento. Soffermandoci sulla terza statistica del 1881, da essa emergeva che le società ginnastiche allora esistenti in Italia erano 113, di cui 37 affiliate alla Federazione delle Società Ginnastiche Italiana (filo-baumanniana), 7 alla Federazione Ginnastica italiana (veteroobermanniana), 3 alla Federazione Ginnastica Svizzera, e ben 66 non aderivano ad alcun ente federale. 15.508 gli associati, dei quali però soltanto 9703 “attivi” (cioè praticanti) con una frequentazione-media serale delle palestre pari a 4103 unità. E tra gli “attivi” i ginnasti erano 6654; 1317 gli schermidori; 819 i tiratori; 273 i canottieri, 640 i membri di fanfare. Oltre alla ginnastica, infatti, 37 società coltivavano al proprio interno anche la scherma; 15 il tiro a segno; 8 il canottaggio; 36 la musica attraverso le loro fanfare.

Ancora: 21 sodalizi possedevano sale di lettura contenenti complessivamente 3390 opere, e 42 società risultavano abbonate a periodici ginnastici. Rispetto alle professioni esercitate dai ginnasti censiti, Draghicchio svolgeva le seguenti riflessioni:                

“Predominano gli studenti, operai, possidenti ed impiegati; vengono subito dopo gli agenti, gli avvocati, i professori, i maestri, i farmacisti. Una società ha fra i ginnasti un ecclesiastico. Quantunque non poche società abbiano sede in piccoli centri, ove abbondano per numero gli agricoltori, pure fra gli “attivi” non troviamo un contadino. Ciò dimostra come, presso la popolazione delle campagne, la ginnastica non abbia punto attaccato. Essa crede fare abbastanza movimento col suo giornaliero lavoro, e non pensa che il suo corpo, per effetto del moto unilaterale, diviene rigido e difettoso, né saprebbe nulla iniziare colla sua sola rozza forza. Sarebbe pure desiderabile che le professioni “liberali” sedentarie, come docenti, avvocati, tecnici, farmacisti ecc. fossero meglio rappresentate. La loro partecipazione alla ginnastica sarebbe la migliore propaganda per la fisica educazione, poiché il loro esempio farebbe meglio che le più belle parole, aumentare la frequentazione”. 

Conclusa a fine secolo l’esperienza alla “Pro Patria” milanese, Gregorio Draghicchio tornò in Istria assumendo l’incarico di segretario comunale a Parenzo. E lì si spense il 18 marzo 1902. Prima, il 15 settembre 1901, aveva fondato la locale società ginnastica “Forza e Valore”. Sodalizio che, il 24 giugno 1912, avrebbe voluto scoprire una lapide commemorativa in suo ricordo, ma l’Imperial Regio Capitano distrettuale austriaco ne proibì l’inaugurazione sostenendo che avrebbe “potuto dar adito a dimostrazioni ostili verso lo Stato mettendo a repentaglio l’ordine pubblico”.  

DALLA LEGGE GABRIO CASATI (1859) ALLA LEGGE FRANCESCO DE SANCTIS (1878): L’INGRESSO DELLA GINNASTICA NELLA SCUOLA ITALIANA

In linea con un paradigma di respiro europeo, il Regno di Sardegna nel 1833 affidò allo zurighese Rudolf Obermann (1812-1869) la preparazione ginnastica dei corpi scelti di genio e artiglieria. Una chiamata a Torino da porre senz’altro in relazione con le riforme militari, modellate su quelle prussiane del 1812, che furono attuate nell’esercito piemontese nel 1831. Le buone prove offerte da Obermann con genieri e artiglieri, indussero il generale Cesare Saluzzo ad assegnargli l’insegnamento dei rudimenti ginnico-militari anche presso l’Accademia e, nel 1834, il ginnasiarca svizzero iniziò ad impartire lezioni di ginnastica anche in case private. Di più, sulla scorta del successo che il suo metodo aveva ottenuto presso gli ambienti militari, nella capitale del Regno di Sardegna il 17 marzo fu tra i fondatori (dirigendola sino alla morte) della Società Ginnastica Torino (con lui, gli altri soci-fondatori risultavano: Luigi Balestra – medico, Ernesto Ricardi Di Netro  – conte e colonnello dell’esercito, Luigi Franchi Di Pont – conte, Lorenzo Saroldi – avvocato, Filippo Roveda – cavaliere, Cesare Valerio – ingegnere), la più antica società d’Italia tuttora sulla breccia, e dal maggio 1853 Obermann ebbe altresì l’onore di istruire in ginnastica (ricevendo uno stipendio di 600 lire per tre ore settimanali) gli eredi al trono di Casa Savoia Umberto, Amedeo e Oddone.  Per Obermann, che Edmondo De Amicis definirà “il fondatore e capo della vecchia scuola, misurata, guardinga e rigorosamente metodica”, il passaggio dalla ginnastica militare a quella civile ed educativa avvenne quindi linearmente, senza marcate differenziazioni e discontinuità; e di conseguenza l’impronta della prima non mancherà di riflettersi significativamente sulle altre due. In particolare, ciò che a noi qui più interessa, giusto il metodo Obermann sarà quello che per primo e per un lungo periodo di tempo ebbe cittadinanza nell’insegnamento ginnico all’interno delle scuole dell’Italia unificata. Il suo punto di riferimento consisteva nel sistema di Freidrich Ludwig Jahn, temperato dagli aggiustamenti di Adolf Spiess. La matrice attrezzistica e marziale era quindi quella nettamente prevalente nella sua filosofia ginnastica. Ad esserne edotti basti uno stralcio del suo articolo “I ginnasticanti”, che scrisse il 22 febbraio 1845 per il periodico torinese “Letture di famiglia”: 

“Egli  è voi, soprattutto, stimatissimi parenti ed educatori, che io vorrei persuasi della grande importanza e dei sommi vantaggi di un tale ramo d’educazione per formare fisicamente la gioventù alla vera virilità, lungi da quell’ermafroditismo che non ritiene dell’uomo che appena le forme esterne, della donna la fiacchezza solo ed i difetti. Né vogliate già credere che la sola parte fisica dei giovanetti, le sole qualità del corpo vengano dagli esercizi ginnastici migliorate e sviluppate, poiché dai medesimi debitamente praticati le più belle doti

dell’animo vengono favorite, i più brutti i più dannosi vizi repressi”

Disciplina, culto della virilità, maschilismo. Queste alcune delle categorie ideologico-morali del pensiero ginnastico di Rudolf Obermann, che metodologicamente considerava la gara individuale “diseducativa sotto il profilo etico e militare” e, perciò, privilegiava il lavoro collettivo e le marce cadenzate. Agli esercizi elementari (movimenti della testa, delle gambe, delle braccia, torsioni, flessioni, piegamenti: le sue concessioni  allo Spiess), seguivano quelli ai grandi attrezzi di impostazione jahniana: piano di assalto; sbarra di sospensione mobile; scala orizzontale; trave di equilibrio; palo di salita; cavallo; passo volante. Né disdegnava le “lotte di forza”, il tiro alla fune, il “getto del giavellotto al bersaglio”. Esercitazioni nelle quali, è più ch’evidente, prevaleva in modo netto l’aspetto muscolare. Attività fisiche molto prossime, in buona sostanza, ad una efficace applicazione anche in campo bellico. E tant’è nel 1849, a Torino, Obermann darà alle stampe la sua prima opera teorico-pratica: “Istruzione per gli esercizi ginnastici ad uso dei corpi di regie truppe”.  Nello specifico non è superfluo osservare che proprio in quel ’49 le esercitazioni ginnastiche vennero introdotte nell’addestramento di tutte le armi dell’esercito piemontese, e quest’ultima estensione si colloca a ridosso delle cocenti sconfitte subite da Carlo Alberto con l’Austria-Ungheria nella prima guerra d’indipendenza (1848). Finalità propedeutiche all’addestramento militare si rinvengono pure in quella che fu la prima Legge relativa alla ginnastica scolastica nel Regno di Sardegna: la Legge Gabrio Casati, modulata sul modello scolastico prussiano che era fondato su un sistema organizzativo fortemente gerarchizzato e centralizzato.    

Il decreto legislativo n. 3725 del ministro alla Pubblica Istruzione Casati, membro del governo presieduto dal generale Alfonso La Marmora, del 13 novembre 1859. All’articolo ottavo capo primo prescriveva: “La ginnastica e gli esercizi militari saranno insegnati in tutti gli istituti di istruzione secondaria a qualunque grado e a qualunque classe appartengano. Il capo dell’Istruzione pubblica nominerà il maestro di ginnastica e l’istruttore militare”. Ci troviamo  di fronte a un’evidente commistione tra esercizi fisici ed esercizi militari, concorrendo in pratica i due momenti  all’identico obiettivo educativo. Una distorsione che troveremo riprodotta anche nei primi interventi adottati in materia dal Regno d’Italia. Confermata la Legge Casati, il primo ministro alla Pubblica Istruzione del Regno d’Italia fu Francesco De Sanctis. Nato a Morra Iripina, in provincia di Avellino, il 28 marzo 1817, De Sanctis nel 1848 partecipò all’insurrezione liberale napoletana e, nel dicembre 1850, fu imprigionato dal governo borbonico. Dopo 2 anni e mezzo di carcere venne imbarcato per esser deportato in America, ma riuscì a fuggire a Malta e trascorsi due mesi raggiunse Torino dove svolse un’attività d’insegnamento in un istituto femminile proseguita poi al Politecnico di Zurigo. Patriota, nel 1860 fu governatore di Avellino prima di esser eletto deputato al parlamento italiano nel Collegio di Sessa Aurunca. Docente universitario a Napoli e insigne critico letterario, ci ha lasciato la sua fondamentale “Storia della letteratura Italia” – compiuta a Napoli tra il 1870-’71, nella quale sviluppa il concetto estetico di contenuto-forma; uomo-poeta; vita-cultura. Per De Sanctis, “l’essenza dell’arte è il “vivente”, la “forma”, ma tra contenuto e forma non vi è dissociazione, esse sono l’uno nell’altra”. Seppur con le dovute cautele nella formula desanctisiana del “contenuto-forma” si possono cogliere i prodromi della sua riforma che renderà obbligatoria la ginnastica nelle scuole del Regno. Ovvero l’idea di una imprescindibile unitarietà della persona quale sintesi organica di soma (forma) e psiche (contenuto). Le due parti di un unico insieme nel quale corpo e mente dovevano raggiungere uno sviluppo equilibrato. Questa pedagogia  De Sanctis la esplicitò in alcuni famosi scritti nei quali teorizzò l’idea di “virile educazione”.

In particolare nel suo “I partiti e l’educazione della nuova Italia” (1875) egli sosteneva:

“Merito del realismo è di dare all’uomo una esatta conoscenza delle sue origini, del suo ambiente, delle sue forze de’ suoi mezzi […]. L’uomo si dee avvezzare a studiare le sue forze ed i suoi mezzi da proporzionarvi ai suoi fini. Questa è virile educazione dei popoli adulti […]. Gli elementi fattivi, restauratori della volontà e della fibra, sono indeboliti in nazioni rinate appena o in aperta decadenza onde nasce la poca attitudine all’opere […]. Una educazione che ci riavvicini alla natura, fortifichi i corpi, c’induri al lavoro, c’infonda il coraggio, c’ispiri tenacità e coerenza di propositi, ci avvezzi alla disciplina, è la migliore amica dell’ideale”.

Ministro alla Pubblica Istruzione dal 23 marzo 1861, De Sanctis vi rimase una prima volta sino al marzo del 1862. In questo spazio di tempo tentò di metter mano alla Legge Casati sulla ginnastica, nominando il 27 aprile 1861 un’apposita Commissione sotto la responsabilità di Quintino Sella (allora Segretario generale alla Pubblica Istruzione, poi tra i soci-fondatori del  CAI,  nonché severo ministro alle Finanze passato alla storia per la “politica della lesina” e la “tassa sul macinato”) e con membri  Obermann e Ricardi Di Netro della Società Ginnastica Torino, Giuseppe Alasia (presidente della Commissione), Piero Baricco (vice-sindaco di Torino e Ispettore delle scuole primarie della provincia torinese), Luciano Benettini  (direttore del Convitto Nazionale di Torino). Lo scontro in Commissione fu tra Obermann, tenace assertore di un indirizzo “militaristico”, e Benettini, che  era favorevole a una ginnastica più “dilettevole”.  Chi ebbe la meglio si ricava dalla Relazione sui programmi di ginnastica che la Commissione licenziò il 1° giugno 1861:

“La       Commissione     ha          considerato       l’istruzione              ginnastico-militare complessivamente, scostandosi dall’uso […] di appellare istruzione puramente ginnastica gli esercizi del corpo che sono semplicemente ordinati a rinvigorire la persona ed a divincolar le membra, e di appellare istruzione militare l’esercitazione dell’uomo destinato a trarre le armi. L’istruzione da dare alla nostra gioventù deve essere tale che valga a disciplinarla ed a rafforzarla e a farla agile e vigorosa e nello stesso tempo idonea a maneggiare il fucile, ed ecco la ragione per cui si è considerato l’insegnamento ginnastico-militare come un sol corso”. 

La Commissione concluse i suoi lavori il 26 ottobre 1861, e in pratica confermò l’impostazione della Legge Casati. La ginnastica era limitata alle scuole secondarie e, nei licei, prevedeva anche “maneggio d’armi, tiro al bersaglio, scherma alla baionetta”. Nessuna ginnastica era prevista per il sesso femminile, lasciando Commissione “al Ministro in persona l’arbitrio di provvedere questa bisogna con particolari decreti ed istituzioni”. Decreti ed istituzioni di cui, per il momento, non si ebbe traccia alcuna.

L’ITER E IL DIBATTITO PARLAMENTARE SULLA LEGGE DE SANCTIS DEL 1878

De Sanctis fu nuovamente ministro alla Pubblica Istruzione dal 18 marzo al di dicembre 1878 e dal 1879 al 1881. Nel suo secondo mandato si sforzò di dotare il Paese di una Legge obbligatoria sulla ginnastica in tutti gli ordini di scuole maschili e femminili, dalle elementari alle superiori, improntata a un autentico spirito educativo. Ma anche questo nuovo tentativo riuscì solo in parte. Non tanto per sua volontà quanto per le difficoltà incontrata sia all’interno della specifica Commissione parlamentare (formata da Domenico Berti, presidente; Nicola Marselli, Ferdinando Martini, Luigi La Porta, Alessandro Ceresa, Pasquale Umana; Antonio Allievi relatore)  sia in sede di Camera e Senato. Anche se, l’aver egli riconfermato la sua fiducia nel metodo Obermann e nella centralità metodologica rivestita dalla Società Ginnastica Torino, costituì un innegabile ostacolo, di cui avrebbe dovuto esser perfettamente consapevole, all’attuazione d’un vero e proprio programma riformatore. Comunque sia, intervenendo a sostegno della sua Legge nella discussione che il 30 maggio 1878 riguardava il bilancio definitivo del Ministero alla Pubblica Istruzione, De Sanctis pronunciò queste parole:

 “Io spesso sono stato[…] in certe scuole di bambini e quando li ho visti sudici, logori , pigiati, gli uni accanto agli altri  in certi banchi fatti proprio per rovinare il corpo […] io mi sono domandato: non sono queste scuole  omicide? Vogliamo noi, per migliorare lo spirito, uccidere il corpo? Non vediamo  che la base è innanzitutto di avere corpi sani e forti?  […] Signori deputati, quando il corpo è sano e forte rinasce nell’uomo non solo il coraggio fisico, che è la cosa più comune, ma ciò che è  più raro, anche il coraggio morale, e la tempra e il carattere e la sincerità della condotta, e l’aborrimento delle vie oblique […]. Noi non diamo ancora troppa importanza a questa ginnastica educativa la quale dà forza, grazia e sveltezza ai movimenti del corpo; abbiamo molte società ginnastiche in Italia, ma se ne parla con leggerezza; se vi è la ginnastica nella scuola, si considera quasi come uno spasso ed io vorrei, o signori, che considerassimo un po’  più seriamente questa parte fondamentale della nostra Rigenerazione”.

Stante ciò, il disegno desanctisiano originale presentava alcune difformità sostanziali rispetto agli articoli di Legge che vennero poi emanati il 7 luglio 1878. Rimasto invariato l’articolo 1° che dettava: “La ginnastica educativa è obbligatoria nelle scuole secondarie, nelle scuole normali e magistrali, e nelle scuole elementari. La conoscenza dei precetti sui quali si fonda è compresa tra le materie di esame per il conferimento della patente di maestri elementari” (e il 3°: “Nelle scuole femminili  d’ogni ordine e grado, la ginnastica educativa sarà regolata con norme speciali”), letteralmente creato ex-novo dalla Commissione fu l’articolo 2°. Nella versione di De Sanctis questo articolo, che Berti-Allievi faranno diventare il 4°, recitava: “Potranno essere istituiti corsi normali di ginnastica educativa sussidiati dal governo anche presso società ed istituzioni ginnastiche ora esistenti, secondo le condizioni ed i programmi stabiliti nel Regolamento”; viceversa nel testo definitivo presentato alle due camere dopo la revisione compiuta dai commissari parlamentari esso assunse questa piega: “L’insegnamento della ginnastica nelle scuole secondarie, normali e magistrali maschili ha pure lo scopo di preparare i giovani al servizio militare. Il Ministro della Pubblica Istruzione e quello della Guerra determineranno d’accordo gli esercizi e i gradi successivi dell’istruzione ginnastica, in relazione all’età e allo sviluppo fisico dei giovani”.

Si trattava dunque di una “svolta militarista” davvero difficilmente conciliabile con gli intenti, sulla carta dichiarati educativi, della Legge. Chiariti questi aspetti, vale soffermarsi sul dibattito parlamentare che la interessò e, in via preliminare, è da notare come i verbali ufficiali della Camera relativi alla seduta del 30 maggio 1878, quando De Sanctis presentò il suo progetto,  riportino testualmente queste reazioni beffarde: “Ma come! Il De Sanctis debutta con un progettino di ginnastica! – Viva ilarità”.  La discussione iniziò il 6 giugno 1878, e tra i diversi interventi spiccano quelli dei deputati Federico Gabelli, Paulo Fambri, Salvatore Morelli e Antonio Allievi. Gabelli, della Destra storica, si opponeva alla Legge perché, a suo parere, gli “italiani se li si voleva più sani e più forti, era più importante riuscire a dare un po’ da mangiare con minori spese e minori tasse”. Obiezioni sociali non del tutto infondate, cui tuttavia seguivano queste sue altre considerazioni volte ad affondare la Legge negando alla ginnastica ogni valore dal punto di vista della metodologia scientifica. Nella sua visione essa, infatti, non era nient’altro che una pratica nella quale “si stira un braccio, si alza una gamba, si volta il corpo un po’ di qua e un po’ di là e si passeggia”. Dunque un lusso inutile e ozioso che quell’Italia, ancora poverissima e contadina, non poteva permettersi.

Fambri, sostenitore della Legge e della sua cifra militaristica, dichiarava che dove l’operaio obbedisce al capo-officina; dove lo scolaro sia ossequiente al maestro, dove cioè, insomma, sia la disciplina sociale, voi avrete lì per lì contratta la disciplina militare […] e il ricostituente dei nostri giovani deve essere bensì il ferro ma adoperato non già in forma di pillole come tonico ma di anelli, di maniglie, di lame, di fioretti e di sciabole”. 

E dal paternalismo conservatore e reazionario di Fambri al precoce “taylorismo” di Salvatore Morelli. Questi, rappresentante democratico della Sinistra segnalatosi per voler garantire pari diritti alle donne ed esser favorevole al divorzio, vedeva però nella ginnastica scolastica soprattutto – se non unicamente – un mezzo per migliorare la produttività sul lavoro. E in tal senso si espresse così dinanzi ai colleghi deputati: “O Signori,  una delle ragioni per cui non si lavora quanto basti in Italia sapete qual è? E’ appunto perché manca il metodo del lavoro, di cui è parte essenziale la ginnastica”. A difendere la bontà della Legge, il 7 giugno 1878, scese infine in campo il relatore Allievi che usò questi argomenti: “C’era la scuola vecchia, la scuola, vorrei dire dei preti […] la quale teneva per ore ed ore là pigiati, immobili, silenziosi, attratti i giovanetti, avezzandoli quasi a considerare l’istruzione come una mortificazione, una pena.

 Vi è la scuola laica la quale alterna con l’istruzione intellettuale un moderato esercizio fisico; la quale tien conto delle condizioni del corpo contemporaneamente alle condizioni dello spirito”.

Ma dopo questo approccio, per quanto anticlericale tutto sommato moderato, Allievi cambiava registro e nel seguito del suo intervento invitava a considerare il fatto “che l’opportuna formazione del cittadino al servizio militare può rendere più efficace e di meno grave dispendio la piena attuazione delle nuove leggi militari” (vedi ristrutturazione Ricotti Magnani del 1873), e a ciò pertanto dovevano concorrere anche “l’istruzione obbligatoria, la ginnastica e il tiro  a segno” (la Legge De Sanctis del ‘78, per l’appunto). 

Posta in votazione alla Camera il 18 giugno 1878, la Legge venne qui approvata con 170 sì su 235 aventi diritto.  Al Senato del Regno pervenne il 22 giugno 1878 e, se tra i deputati le obiezioni avevano riguardato la medesima utilità dell’inserimento ginnastico in seno alle istituzioni scolastiche, tra i senatori i dissensi si concentrarono sul concetto di obbligatorietà, trovando in Diomede Pantaleoni il maggior oppositore. A queste posizioni rispose Berti, il presidente della Commissione referente che disse:

“Non è nei ragazzi che bisogna vincere il pregiudizio contro la ginnastica, è nelle famiglie; i ragazzi si prestano volentieri, anzi molte volte si dolgono che le loro famiglie non gliela permettano. E’ dunque la famiglia che bisogna vincere. Ma se le famiglie trovano nella Legge un “salvo”, non si salvano più i maestri di ginnastica”.

Il senatore Casati, evidentemente sottilmente antifemminista, per contrastare la Legge il 2 luglio 1878 intervenne chiedendo se “anche le ragazze venissero preparate al servizio militare”; e giunti al voto finale con scrutinio segreto, il 7 luglio 1878 il testo passò a maggioranza con 46 sì, contro però ben 34 schede sfavorevoli. 

I programmi della De Sanctis (obiettivi didattici e linee metodologiche) furono definitivamente promulgati con un decreto del 16 dicembre 1878. Nelle scuole elementari la lezione di ginnastica – secondo i canoni dell’Obermann, che restava anche dopo la sua morte il “ginnasiarca principe” dell’Italia unita –  doveva servire “come sollievo dopo una lunga applicazione intellettuale. Per conseguenza dove l’orario giornaliero è distribuito in un unico periodo, si faccia dopo la prima ora di studio; dove invece è distribuito in due periodi, – continuavano i programmi – sarà bene farla al termine del secondo”. La lezione doveva esser sempre di mezz’ora e suddivisa in “esercizi ordinativi e preparatori; esercizi di tutte le parti del corpo, compresi il salto e la salita […] esercizi di passi ritmici, marce, evoluzioni, corse, giuochi”. Le assenze erano punite con i mezzi previsti dai regolamenti scolastici, e si sarebbero dovuti tenere saggi pubblici in occasione di feste nazionali. Nelle scuole secondarie si prescriveva di introdurre l’attrezzistica in modo da “avvezzare i giovani a superare facilmente in molte guise un ostacolo, a misurare le proprie forze e ad avere fiducia in sé”. Ancora: non mancava il maneggio delle armi, la scherma di bastone e il tiro a segno affinché l’allievo si prepari “ad entrare come valido soldato nelle file dell’esercito”. E nell’ultimo paragrafo del decreto 16 dicembre 1878, dal titolo “Istruzione per lo svolgimento del programma d’insegnamento militare nelle scuole secondarie”, una intera parte era dedicata all’uso del fucile: istruzioni con l’arma, fuochi in ordine chiuso, assalti, istruzione sulle armi, istruzione sul tiro.   

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Comments

  1. Fino ad oggi, Francesco De Sanctis è stato per me l’autore della Storia della letteratura italiana ed un insigne critico letterario. Ignoravo che fosse stato ministro della Pubblica Istruzione e che tanto si fosse impegnato per l’introduzione della ginnastica nelle materie scolastiche.

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